Economia circolare e reputazione (sociale). Il circolo vizioso di cui nessuno parla
Circular economy: se a frenarla è un “cortocircuito mediatico”
di Federica Simonetti
Quale legame esiste tra economia circolare, reputazione aziendale e responsabilità sociale d’impresa? Come viene seguita e percepita da media e social media l’attività delle aziende che curano la gestione e il riciclo dei rifiuti? Quali ripercussioni provoca una cattiva reputazione sullo sviluppo delle attività di green economy?
Dalla necessità di approfondire e dare una risposta a queste domande ha preso le mosse lo studio “Economia circolare e reputazione (sociale). Il circolo vizioso di cui nessuno parla”, realizzato da un team di ricercatori delle Università di Macerata e Ancona con il sostegno di Orim Spa, azienda leader nel settore dello smaltimento e recupero rifiuti, che farà parte del volume “Verso l’Economia circolare” di prossima pubblicazione da Eum (Edizioni Università Macerata) e i cui risultati sono stati presentati nel corso di un convegno svoltosi il 9 novembre 2017 durante Ecomondo, la fiera internazionale dedicata alla green economy che si tiene ogni anno a Rimini. I ricercatori Federica Simonetti e Ksenia Silchenko (Unimc – Università di Macerata ) e Fabio Fraticelli (Univpm – Università Politecnica delle Marche) partono dal presupposto che vede nell’economia circolare una componente indispensabile degli sforzi messi in campo dall’Unione Europea per sviluppare un’economia realmente sostenibile e competitiva: l’obiettivo non è solo minimizzare il flusso dei materiali “dalla culla alla tomba”, ma disegnare un metabolismo industriale ciclico, “dalla culla alla culla”, capace di portare la materia di scarto a una nuova culla, di consentire ai materiali di mantenere il loro status di risorse, insomma di mantenere più elevata possibile la qualità delle risorse nel tempo.
Manca un adeguato riconoscimento reputazionale
Lo studio, partendo dall’assunto che la gestione e il recupero dei rifiuti è ormai considerato a pieno titolo un’attività centrale per la transizione verso una circolarità dei modelli produttivi ed economici, evidenzia come a questo ruolo strategico non corrisponda un adeguato riconoscimento reputazionale da parte di media e opinione pubblica nei confronti di aziende che, come destinatarie di “scarti” di produzione, sono invece spesso oggetto di critiche da parte di un’ampia gamma di stakeholder “non professionali”, quali le comunità in cui tali imprese operano.
Oltre alla non-conoscenza da parte dei cittadini dei reali meccanismi dell’economia circolare, contribuisce a produrre questa erronea percezione dell’opinione pubblica sul reale ruolo di queste imprese nel sistema economico la cattiva luce “proiettata” sul settore dei rifiuti non solo dai mass media tradizionali, i quali utilizzano un linguaggio contenente “una maggior quantità di emozioni negative (mix di ansia, rabbia e tristezza) rispetto a quelle positive”, ma anche e sempre più spesso, da social media e blog di informazione, all’interno dei quali la maggior parte dei commenti è innescato dalla preoccupazione dei cittadini sulla natura delle attività delle aziende, dal relativo impatto ambientale e dalla mancanza di fiducia per le amministrazioni locali.
Il circolo vizioso
L’analisi rivela come l’attuale carenza di una reputazione “propria” dell’economia circolare (dovuta a una scarsa consapevolezza della società civile sul tema) possa innescare un circolo vizioso in grado di ostacolare lo sviluppo stesso di attività imprenditoriali legate alla gestione dei rifiuti e di conseguenza la transizione verso una logica “circolare” del modello economico, in diversi casi fermando addirittura la realizzazione di impianti di recupero, con negative ripercussioni sul fronte ambientale e occupazionale.
Ad oggi le tensioni e i giudizi contrastanti che portano a problemi di reputazione e sentimenti negativi nelle aziende che lavorano per un’economia circolare sono lontani dall’essere compresi a fondo e affrontati operativamente nel modo opportuno (per esempio con programmi di comunicazione integrata). Per migliorare è necessario comprendere meglio la complessità della conoscenza condivisa dalla società sui rifiuti in generale e sugli operatori economici e industriali nel settore del trattamento dei rifiuti nello specifico. Affinché la transizione possa avvenire, è evidente che questo sense-making collettivo non potrà essere attivato da una singola organizzazione: occorrerà mobilitare una rete di organizzazioni, interne ed esterne, e in particolare sfruttare al meglio le opportunità di collaborazione tra il settore della gestione dei rifiuti e il mondo dell’Università specializzato nella ricerca sulla comunicazione, oltre che i professionisti già attivi nel settore.
Di questa necessità, si stanno accorgendo anche le Associazioni imprenditoriali.
“La realizzazione di un modello efficiente di circular economy passa anche e soprattutto da una corretta ed efficace comunicazione e informazione sulle attività di gestione dei rifiuti, in grado di intercettare e coinvolgere le comunità locali e l’opinione pubblica nazionale, ha commentato al riguardo Elisabetta Perrotta, Direttore di FISE- Assoambiente a cui Orim spa è associata. “È lo scenario per cui Associazioni di categoria e imprese del settore si stanno attrezzando, passando da una comunicazione diretta ‘verso’ il cittadino/utente a una ‘con’ il cittadino/utente, che integri gli strumenti di comunicazione verso i media tradizionali con un dialogo costante attraverso i social media, con l’obiettivo di comprendere i bisogni della cittadinanza, coinvolgerla e sensibilizzarla sulle tematiche relative ai servizi ambientali”.