Il futuro dell’industria europea dell’alluminio è fortemente condizionato dai dazi UE sull’importazione di alluminio grezzo
A cura di Mario Conserva
FACE, la Federazione Europea dei Consumatori e Utilizzatori di Alluminio con sede a Bruxelles, ha deciso di rilanciare la campagna per la sospensione dei dazi sulle importazioni nell’UE di metallo grezzo con rinnovato vigore, grazie agli ultimi risultati dello studio dell’Università LUISS di Roma intitolato “L’industria dell’alluminio nell’Unione Europea: impatto delle misure commerciali UE sulla competitività delle attività downstream”.
Lo studio è stato commissionato da FACE nel 2014 con l’obiettivo di stabilire uno scenario costruttivo e trasparente riguardo alla competitività della catena del valore dell’alluminio nell’Unione Europea, con particolare attenzione ai segmenti downstream che oggi sono responsabili del 70% circa del fatturato annuale dell’industria UE dell’alluminio e di poco meno del 92% dell’occupazione totale del settore. Per inquadrare il problema fin dalle origini, va detto che l’UE non ha una fornitura interna adeguata di metallo grezzo, oltre il 70% del suo fabbisogno è importato, e per coprire la carenza, stimata in circa 5,1 milioni di tonnellate nel 2017 e tuttora in crescita, l’industria downstream deve rivolgersi a fornitori off-shore. Come per molti altri beni, un complesso sistema di dazi sulle importazioni è attualmente applicato ai prodotti in alluminio; per il metallo non lavorato, dopo due sospensioni temporanee consecutive adottate nel 2007 e nel 2013, i livelli dei dazi doganali sono il 3% per l’alluminio non legato, il 4% per placche da laminazione e billette da estrusione, e il 6% per le leghe da fonderia.
L’alluminio grezzo è importato in regime di dazio pagato (DP) o non pagato (DU), può essere importato senza tasse doganali dai Paesi che hanno firmato Accordi Commerciali Preferenziali con l’UE e Paesi meno sviluppati (SPGA) coperti dallo Schema Generalizzato delle Preferenze (GSP). La percentuale di metallo sulla quale andrà pagato il dazio continuerà a crescere insieme alla domanda dell’UEper il metallo importato, perché le nuove capacità produttive di alluminio primario sono in via di costruzione in Paesi soggetti ai dazi UE. In ogni caso, per effetto delle condizioni di mercato, il benchmark del prezzo DP è diventato di fatto il riferimento per la fornitura di metallo grezzo agli utilizzatori downstream nell’UE, e tutti i fornitori DU sono fortemente incentivati ad applicare prezzi DP, che paghino il dazio o meno. Come risultato, il prezzo pagato dai clienti downstream dell’UE sull’alluminio domestico così come su quello importato è sempre quello offerto dai fornitori DP anche se il metallo è prodotto internamente o importato senza pagare il dazio. Il premio DP, che è un sussidio nascosto e inutile per i produttori di metallo, costituisce una tassa sui trasformatori e gli utilizzatori downstream dell’UE. La crescente concorrenza internazionale dai Paesi in via di sviluppo e la scarsa forza contrattuale nei confronti dei loro clienti stanno progressivamente stritolando i margini e ponendo ulteriore pressione sulla loro sopravvivenza, soprattutto sulle PMI. I costi extra totali dovuti al dazio sostenuti dalle aziende del downstream EU dell’alluminio sono stimati in circa 17,8 miliardi nel periodo 2000-2017, un valore pari al 75% del fatturato del downstream dell’alluminio UE nel 2015, con un costo medio aggiuntivo annuale di circa 1 miliardo di euro.
L’importante posizione assunta da FACE, un’organizzazione che difende gli specifici interessi di trasformatori, utenti finali e loro partner nell’industria UE dell’alluminio, trae origine dall’evidente gravità della situazione competitiva del segmento, le tariffe dell’UE sull’importazione dell’alluminio grezzo sono state assolutamente inefficaci nel sostenere la produzione primaria di alluminio, mentre stanno imponendo costi aggiuntivi insostenibili ai trasformatori downstream.
Mentre il compromesso dell’industria ha fissato il 2023 come data per ridiscutere la questione, l’ultimo studio LUISS mostra che l’industria europea del downstream non può aspettare quattro anni e ha l’assoluta necessità di trasferire nell’innovazione e nella modernizzazione i miliardi di euro sinora gettati al vento in nome di un dazio senza senso. Sullo sfondo della concorrenza incalzante di Paesi come la Cina, i danni causati dal meccanismo del sussidio mascherato da tariffa daziaria può diventare impossibile da sopportare per le PMI europee
e per il milione di persone o quasi che ne dipende.