Il segmento alluminio in Unione Europea ancora tormentato dalle richieste di sanzioni all’import. Perché vogliamo farci del male?
a cura di Mario Conserva
Non ci sono dubbi che l’alluminio primario molto green di Rusal ha aiutato nel tempo ed aiuta a maggior ragione oggi a colmare l’ampio e crescente divario tra la produzione ed il fabbisogno di grezzo in UE e naturalmente in Italia. Ricordiamo che la domanda di primario in UE è stata di 7,7 milioni di tonnellate nel 2022, mentre la sua produzione ha superato 1,3 milioni di tonnellate. Per molti anni l’UE è stata un mercato in deficit netto, con importazioni di primario superiori a 6 milioni di tonnellate dal 2017 (6,6 milioni nel 2022); ricordiamo che nel periodo 2021-2022, circa il 34% (pari a oltre 650.000 tonnellate) della produzione di alluminio primario dell’UE è stata perduta, spingendo la dipendenza dell’UE dalle importazioni di primario fino all’84%. Tutto questo senza lamentele, voci di denuncia, richieste di spiegazioni ai decisori incaricati di progettare un futuro industriale credibile. In UE in 30 anni non è stato costruito un solo nuovo smelter di alluminio, né se ne prevedono. E’ doveroso ricordare che mentre i principali mega produttori internazionali spostavano la produzione al di fuori dell’UE, Rusal ha investito nelle tecnologie produttive, sviluppando partnership con l’industria a valle; oggi opera nell’upstream in EU, con oltre 1.300 persone in quattro paesi dell’Unione: Aughinish in Irlanda, che fabbrica oltre il 30% dell’allumina dell’UE; Kubal in Svezia che produce il 6% dell’alluminio primario dell’UE; Aluminium Rheinfelden in Germania, produttore di leghe di Al per l’industria automobilistica e dell’imballaggio, e infine Eurallumina in Italia, pronta per il rilancio. Ma la cosa fondamentale è che Rusal garantisce una fornitura stabile di circa 1 milione di tonnellate l’anno di primario a basse emissioni di carbonio, circa il 12% della domanda di primario in UE. Il metallo che ci verrebbe a mancare è oggi l’alimentazione di materia prima per centinaia di consumatori di Al in tutta l’UE, nelle aziende di trasformazione, di lavorazione, di finitura, di manifattura, un comparto che impiega direttamente oltre 200.000 persone, gran parte dell’industria europea a valle dell’alluminio e che dipende in diversa misura dalla continuità di queste forniture. Abbiamo già vissuto tristi circostanze nel 2018 quando gli USA adottarono sanzioni analoghe, provocando un aumento immediato del 35% dei prezzi del metallo e severe carenze e difficoltà di approvvigionamento. Il settore della lavorazione dell’alluminio è già schiacciato tra il deficit dell’offerta interna e il calo della domanda a causa della crisi economica e delle importazioni concorrenti, spesso poco trasparenti, di prodotti dall’Asia. C’è poca speranza per la crescita delle forniture dal Nord America, mentre i sussidi dell’IRA degli Stati Uniti stanno stimolando la domanda di alluminio. L’accesso a fonti stabili e competitive di metallo grezzo, che costituiscono il 60-80% dei costi di produzione del downstream alluminio dell’UE, è anche assicurato dalla presenza di Rusal nel mercato dell’UE; le ventilate sanzioni sono economicamente irragionevoli perché il vuoto di questo metallo green con bassa impronta di carbonio (2,3 t CO2 /t) sarà riempito nella migliore delle ipotesi da primario ad alta impronta di carbonio, da 13 a 17 t di CO2 /t, proveniente da noti paesi terzi. Sarebbe chiaramente un’operazione suicida considerando tra l’altro anche gli obiettivi climatici dell’UE, perché non solo stimolerà la produzione di metallo ad alto tenore di carbonio in altre aree, ma l’UE stessa sarà costretta a trasformare e mettere in circolazione prodotti di alluminio ad alto tenore di carbonio nei mercati nazionali ed esteri, che oltre a incidere negativamente sui vantaggi competitivi dei beni europei sui mercati esteri non contribuirà alla realizzazione delle ambizioni climatiche dell’UE. L’eventuale restrizione all’import di questo metallo molto ecosostenibile danneggerebbe pesantemente lo sviluppo industriale europeo, senza comportare danni significativi al sistema economico russo, che ne reindirizzerebbe l’export verso Cina, India e altre economie asiatiche, rafforzandone la competitività contro la nostra industria manifatturiera.