La vicenda di Eurallumina a Portovesme: il segmento alluminio merita la massima attenzione
Si apprende dalla stampa quotidiana di queste settimane che rischia di saltare in Sardegna il piano da 300 milioni di euro dell’Eurallumina di Portovesme per rilanciare la produzione di allumina, la materia prima per produrre l’alluminio primario attraverso il ciclo elettrolitico Hall-Heroult. Il grande stabilimento è nel suo genere ancora oggi uno dei più importanti in Europa con una capacità produttiva da oltre un milione di tonnellate di allumina l’anno. Niente male per un impianto nato nel lontano 1968 da una straordinaria visione del gruppo a partecipazione statale EFIM, insieme ad Alusuisse, Comalco ed altri importanti partner internazionali del comparto; nel 2007 dopo molte vicissitudini divenne proprietà del produttore russo di alluminio Rusal, grande azienda del segmento ed ai primi posti del ranking mondiale come tonnellaggio e come ecosostenibilità del proprio metallo.
Eurallumina è una realtà industriale inserita in una filiera come quella dell’alluminio che è prevista in decisa crescita nei prossimi decenni, e tra un numero incredibile di investimenti poco credibili nel nostro Paese, questo quantomeno aveva ed ha un fondamento corretto e lungimirante per un segmento vincente e pieno di prospettive sia a livello nazionale che guardando al mercato globale, da far crescere nelle modalità più opportune, e non da demolire o aspettare con pazienza che qualcun altro stacchi la spina. E’ chiaro che il quadro è complesso tra gestione e messa in sicurezza ambientale, salvaguardia del territorio, adeguate fonti energetiche, ci vuole molta buona volontà, disponibilità e creatività, ma la partita vale il massimo impegno perché sono in gioco posti di lavoro ed il potenziale risviluppo di un’importante regione. Siamo di fronte a scelte indubbiamente difficili ma non bisogna dimenticare che l’Italia è stata sin dagli inizi del secolo scorso all’avanguardia nel credere al poderoso sviluppo del nuovo metallo leggero, “scoperto” solo verso il 1880 e prontamente introdotto, come primario materiale di impiego universale nelle aree tecnicamente più evolute come Europa e Nord America. Oltretutto nel prendere decisioni, teniamo conto delle politiche di reindustrializzazione in Unione Europea, quindi anche in Italia, che già potrebbero e dovrebbero essere molto più concrete e non solo dichiarazioni di intenti.
Ritornando al nostro metallo, non vorremmo arrivare alla conclusione che i nostri decisori non tengono nel dovuto conto il valore chiave della filiera dell’alluminio per lo sviluppo industriale del Paese, il metallo leggero è protagonista di un solido manufatturiero che tuttora ci contraddistingue in Europa e nel mondo. Questo segmento industriale dovrebbe essere accuratamente tutelato per salvaguardare il patrimonio tecnologico di migliaia di medie e piccole aziende cresciute nel tempo in Italia.