Streparava, la forza della partnership tecnologica
Il Gruppo Streparava offre un know-how senza uguali per progettare, sviluppare e produrre su larga scala i componenti più complessi per i principali marchi automotive d’alta gamma. Con il nuovo brand Alunext, potenzia ora la produzione di componenti in alluminio.
L’azienda Streparava nasce nel 1951 a Cologne, in provincia di Brescia, nel cuore pulsante di un’Italia che si appresta a rinascere. Quattro uomini accomunati dalla stessa intraprendenza uniscono le proprie energie per fondare un’azienda che inizialmente si occupa di produrre viti e bulloni conto terzi. Arrivano gli anni Settanta e inizia il trasferimento delle varie realtà aziendali nell’attuale sede di Adro, sempre in provincia di Brescia: ora tutto il processo è in casa e l’espansione dell’azienda prosegue spedita. Anche perché tra i soci fondatori vi è Angelo Luigi Streparava, un uomo che sa guardare lontano, dotato di uno spirito imprenditoriale non comune e che, sempre in quegli anni, diventa l’unico proprietario dell’azienda. Nel 1981 nasce il Gruppo Streparava. Da lì in poi, una crescita progressiva e costante porta il Gruppo ad incorporare altre aziende e ad aprire sedi operative all’estero.
Incontriamo oggi nella sede di Adro l’amministratore delegato Paolo Streparava, seconda generazione dell’azienda, oggi riconosciuta come un partner affidabile e qualificato dalle maggiori case produttrici del settore automotive. Ma come siete arrivati a questo risultato?
“Nel 2010 abbiamo iniziato un percorso di rinnovamento strategico con un’attenta ridefinizione del nostro mix produttivo, perché ci vedevamo troppo legati ad un unico prodotto e volevamo diversificare. La prima analisi è stata interna volevamo infatti capire come i nostri clienti ci vedessero e come noi fossimo da loro accreditati come generatori di valore. Noi siamo fornitori di processo, non abbiamo infatti prodotti nostri, non siamo fornitori di componenti in serie ma siamo in grado di progettare, creare prototipi e costruire componenti realizzati su specifiche dei nostri partner. Conoscere tutta la procedura per realizzare un prodotto è un importante atout, che ci fa apprezzare e valere dai nostri clienti. Questa sede centrale di Brescia oggi sviluppa la strategia ed i progetti di tutti i nostri nove stabilimenti, attraverso il modello giapponese Lean di pianificazione Hoshin Kanri”. (NdR: Le parole “Hoshin” e “Kanri” significano rispettivamente “direzione” e “gestione”. Usati insieme, compongono il significato di “Come gestiamo la nostra direzione” o “Come assicurarsi di andare nella direzione giusta”).
Come è cambiata la vostra azienda negli ultimi anni?
“Nel 2012 fatturavamo 120 milioni di euro con tre stabilimenti, il nostro quartier generale di Adro, in provincia di Brescia, e quelli in Spagna e Brasile. Oggi il Gruppo controlla nove stabilimenti in Italia, Spagna, India e Brasile. In totale 1.300 dipendenti e un fatturato consolidato superiore a 310 milioni di euro. Per far funzionare questa complessa organizzazione abbiamo definito una precisa pianificazione strategica. Primo punto la formazione fatta a tutti i collaboratori secondo i criteri “lean thinking” del citato metodo giapponese. Tutta l’azienda è sintetizzata in una matrice che contiene le nostre strategie, i progetti e gli obbiettivi che ci siamo prefissati. Questo stile organizzativo ha dato ottimi risultati anche se il passaggio è stato abbastanza lungo e complesso. Questo modello ci ha rapidamente permesso di iniziare ad acquisire nuovi ed importantissimi clienti nel settore automotive e nel settore dei componenti per le sospensioni dei mezzi agricoli. Di slancio abbiamo allargato i nostri contatti commerciali acquisendo importanti collaborazioni con le principali case automobilistiche europee, come Mercedes, Lamborghini, Volvo, Porsche, Ferrari e senza dimenticare le complesse sospensioni per i mezzi agricoli della Same. Ricordo per inciso che tutte le auto Lamborghini montano le nostre sospensioni, che per il Gruppo Mercedes realizziamo oggi le sospensioni della Classe G, il fuoristrada di punta della casa tedesca e che per la gamma veloce RS di Porsche produciamo componenti stampati in alluminio sui quali vengono posizionate delle boccole molto complesse, che permettono il movimento dei braccetti della sospensione. Per realizzare questi particolari mai realizzati in passato, abbiamo superato i nostri formidabili concorrenti, grazie alla velocità di progettazione e di realizzazione con la massima qualità. Dopo Porsche siamo riusciti a fornire Ferrari per parti complesse delle loro auto. Per Volvo abbiamo aperto piattaforme produttive in India”.
La struttura della vostra offerta è molto ampia; oltre alle sospensioni realizzate altri componenti?
“Alberi motore, a camme e bielle non per automobili ma per macchine movimento terra o per moto. Per quest’ultimo settore oggi forniamo le principali aziende costruttrici come Aprilia, Ducati, MV Agusta e Piaggio. Per Ducati in particolare realizziamo gli alberi motore delle moto GP”.
Come siete arrivati dalla trasformazione di componenti alla fornitura del ciclo praticamente completo, ovvero includendo le materie prime necessarie al vostro processo?
“Siamo partiti dall’analisi dei nostri costi e dalla necessità di incrementare il nostro valore aggiunto. Sapevamo infatti che la componente in acquisto aveva un’incidenza molto elevata nella struttura dei nostri costi. Un rapido scouting tecnologico ci ha permesso di valutare l’incidenza in acquisto di getti da fonderia, lamierati e stampati in generale. Nel 2000 noi stampavamo acciaio, la ghisa avrebbe richiesto investimenti eccezionali e in prospettiva non prevedevamo grandi sviluppi di questi materiali. A quel punto abbiamo iniziato a valutare l’alluminio, non molto presente nei nostri prodotti nella versione fusa, ma molto di più negli stampati. L’opportunità che ci si è presentata è stata la collaborazione con Costamp e Idra Presse per un particolare progetto chiamato Low Pressure Forging (LPF). Un processo brevettato in Francia che semplifica i passaggi di lavorazione riducendo il costo finale di un manufatto, con caratteristiche non superiori ma paragonabili allo stampato classico. In pratica LPF si pone a metà tra il fuso e lo stampato. Tutto questo impianto è attualmente in fase di completamento. In questo contesto stavamo facendo produrre alcune parti che non potevamo realizzare internamente alla fonderia Cervati di Brescia, tra l’altro collegata con la fonderia Reboldi che produce fusioni in conchiglia, interessanti per esempio per le scatole del cambio. Il fall out della Cervati ha rapidamente convinto noi e Costamp ad affittare il ramo d’azienda con il nuovo brand ALUNEXT, con la prospettiva dell’acquisizione che sarà completata nei prossimi mesi. La rapidità è stata dettata dalla necessità di non fermare i forni di produzione e garantire un futuro a cento famiglie. Alunext riunirà tutte le nostre attività collegate all’alluminio e prevediamo un fatturato complessivo superiore ai 25 milioni di euro l’anno. Rispetto al passato un grande salto di qualità e di valore per la società da noi acquisita. Passando ad altri progetti, oggi ci stiamo interessando di meccatronica: riteniamo che questa metodologia consenta di attribuire maggior valore aggiunto ai manufatti metallici e rappresenti un solido know-how e importanti margini di competitività rispetto ai paesi low cost. La nostra partecipazione al 25% con una società che produce sensori ci ha permesso di elaborare progetti di “sensorizzazione” delle sospensioni, ancora in via di sperimentazione, dai quali ci aspettiamo risultati di straordinario interesse. Anche in questo caso registriamo rapidissimi cambiamenti ma allo stesso tempo rallentamenti, dovuti alle modalità dei metodi attualmente non ancora ben sviluppati. Con questa società abbiamo realizzato un veicolo elettrico a guida autonoma”.
Oggi si parla insistentemente del futuro delle auto in Europa. Cosa pensate dell’attuale trend che impone lo sviluppo delle auto elettriche?
“Attualmente riscontriamo che le piattaforme dei nostri clienti per le elettriche stanno notevolmente incrementando le richieste. Streparava non è naturalmente rimasta a guardare, ne è la prova il prototipo full electric che abbiamo fatto circolare a Futura Expo. La parte delle sospensioni non presenterà sostanziali differenze rispetto allo stato attuale, diverso è il ragionamento per le parti motore che oggi rappresentano circa il 30% del nostro fatturato. Rileviamo comunque che almeno nel segmento delle supercar esistono alcuni progetti per la realizzazione di nuove auto full electric, ma anche forti resistenze da parte di alcune case di alta gamma che non stanno investendo in questa direzione. In realtà il ragionamento richiederebbe alcune riflessioni. Il concetto di elettrificazione del parco auto europeo è in realtà un rebus complesso. Mi spiego: in genere si parte dal problema per proporre delle soluzioni. Questo è in genere un atteggiamento naturale. Il problema, in questo caso, è stato portato su ‘elettrico si, elettrico no’, rispetto all’impatto sulla filiera automotive. La realtà è che il problema non è l’impatto sulla filiera, ma se si può dimostrare che l’elettrico risolverà i problemi in Europa! È dimostrato che questa azione così devastante per l’industria dell’auto avrà un impatto positivo sull’inquinamento atmosferico e le emissioni di CO2? La legge sta imponendo un cambiamento radicale, ma se vogliamo arrivare a zero emissioni, il governo europeo dovrebbe lasciare la libertà di scelta sul come risolvere il problema. Questo concetto è diverso dalla semplice imposizione del passaggio completo all’elettrico, perché parte dall’erroneo presupposto che l’elettrico non emetta CO2. Frenare un’auto è CO2, l’attrito delle gomme è CO2, il ciclo di produzione è a dir poco imbarazzante, senza dimenticare lo smaltimento delle batterie e soprattutto come l’energia viene prodotta. Oggi solamente il 20% dell’energia creata in Europa proviene da fonti rinnovabili; e la rimanente parte? Inoltre i materiali e le terre rare che servono per creare le batterie, il silicio ed il cadmio tra gli altri, non arrivano dall’Europa, ma da chissà dove! In quali condizioni di lavoro vengono estratti quei minerali? Una scelta scellerata e dannosa per l’industria europea e non solo. Se anche avessimo la bacchetta magica di Harry Potter e magicamente elettrificassimo tutto il parco auto europeo, risolvendo sia gli inconvenienti della ricarica (colonnine di ricarica ovunque, autonomia migliorata e tempi di rifornimento ridotti) sia i problemi di approvvigionamento energetico, non risolveremmo la questione delle emissioni. Il trasporto su gomma per esempio è molto al di là dal poter essere facilmente elettrificato. Basti solo pensare al peso di eventuali batterie su un camion! La soluzione: cominciamo a razionalizzare e migliorare il parco auto circolante (vetusto ed obsoleto) e riduciamo le emissioni possibili. La questione elettrificazione ormai andrà avanti, ma sul “come” dovremmo ragionare molto di più”.