Che gioiello di macchina!
Pensando al settore dell’oreficeria, ma con l’idea di utilizzarla anche in altri ambiti produttivi, l’azienda vicentina Errea Sistemi ha sviluppato una macchina per la lavorazione in continuo di oggetti 3D – in mostra nell’area Know How 4.0 a SPS Italia – che utilizza i robot con livelli di precisione tipici delle macchine utensili. Con uno sforzo notevole in termini di ricerca e customizzazione, Mitsubishi Electric ha fornito non solo i robot, i servosistemi e il PLC, ma anche la piattaforma completa di automazione iQ.
di Fabrizio Dalle Nogare
La bottega – così Andrea Ciscato e Roberto Bedin, titolari di Errea Sistemi, chiamano la loro azienda, alle porte di Vicenza – può sembrare a prima vista una “normale” officina meccanica. Basta una chiacchierata, però, per capire che in realtà ci troviamo immersi in un luogo in cui si cerca di portare al limite le potenzialità dell’automazione di macchina, senza temere di assumersi dei rischi. La motivazione che spinge i due appassionati tecnici-imprenditori la carpiamo a microfono spento, quando Andrea Ciscato ci racconta che non si sono mai accontentati di procedere lungo la strada tracciata, ma hanno sempre cercato di fare il passo successivo, sperimentare soluzioni nuove, proporre qualcosa di inedito.
La macchina che ci presentano – ancora in fase di completamento, ma sarà al lavoro eccome, sebbene in versione demo, nell’area Know How 4.0 di SPS Italia – è il risultato di una sfida produttiva pensata per il settore orafo, ma applicabile anche ad altri settori, che Mitsubishi Electric ha prontamente raccolto, investendo risorse, tecnologia, ricerca. E rendendo possibile ciò che non sembrava poterlo essere.
Precisione, facilità di utilizzo e versatilità
Contando sull’integrazione dei sistemi di automazione avanzati di Mitsubishi Electric, Errea Sistemi ha sviluppato una macchina, la 3D Robot, per la lavorazione robotizzata in continuo di oggetti 3D che assicura livelli molto alti di precisione, facilità di utilizzo e versatilità. Infatti, è la macchina che si adatta al pezzo da processare, e non viceversa. “Siamo partiti dall’esigenza, espressa da un cliente nel settore orafo, di effettuare lavorazioni di altissima precisione sui gioielli”, racconta Ciscato. “Sono molte però le possibili applicazioni della macchina: dall’occhialeria al medicale, dall’orologeria alla lavorazione della plastica. Il sistema consente di automatizzare, con una ripetibilità molto elevata, operazioni che tradizionalmente vengono eseguite manualmente, con le inefficienze legate al fatto di dover lavorare grandi quantità di pezzi”. Estremamente compatta (ha un’impronta di poco superiore al metro quadrato), la macchina sviluppata da Errea Sistemi è basata sull’utilizzo di due robot a sei assi forniti da Mitsubishi Electric. Il primo, con payload di 4 kg, preleva il pezzo da un caricatore e, dotato di una pinza con sistema autocentrante, lo porta nella postazione in cui avviene la lavorazione. Qui uno scanner identifica le caratteristiche del pezzo ed entra in azione un secondo robot a sei assi, con payload di 7 kg e montato a soffitto, dotato di un tool speciale con componentistica sviluppata da Errea Sistemi che consente di lavorare il pezzo secondo le specifiche richieste. Una macchina, quest’ultima, che è coperta da brevetti.
Se i robot si comportano da macchine utensili
La 3D Robot, completamente automatica e con un ciclo di lavoro molto breve, affida ai robot lavorazioni di estrema precisione più tradizionalmente associate alle macchine utensili: nel caso dei gioielli, si parla di oggetti realizzati a partire da fogli con spessore nell’ordine dei decimi di millimetro.
“Per poter ottenere un tale livello di precisione – non solo nella movimentazione, ma anche nella vera e propria lavorazione dei pezzi – abbiamo dovuto customizzare i robot, coinvolgendo anche i tecnici della nostra casa madre a Nagoya, a dimostrazione di quanto abbiamo creduto in questo progetto”, ci spiega Marco Filippis, PM Robot della divisione Factory Automation di Mitsubishi Electric. “Inoltre, la piattaforma di automazione iQ permette di gestire con un unico hardware l’automazione dell’intera macchina: dai robot alla parte motion fino al PLC – tutti componenti forniti da Mitsubishi Electric – e all’interconnessione con il sistema informativo dell’azienda. I dati di lavorazione possono quindi essere trasmessi facilmente al MES, garantendo la possibilità di tracciare le varie fasi del ciclo di lavoro, analizzare i dati in tempo reale e gestire il funzionamento della macchina anche da remoto”. In poche parole, ciò che richiede una macchina di produzione per essere definita “4.0”. “Il fatto di poter contare su un costruttore che non ci ha fornito soltanto i robot, ma che ci ha affiancato con una piattaforma completa per la gestione dell’automazione ha comportato un notevole risparmio di tempo, di risorse e di energia in fase di progettazione e di realizzazione della macchina”, conferma Roberto Bedin.
Ridurre al minimo gli scarti
Flessibilità e adattabilità sono altre due parole chiave nel racconto di questo progetto, nonché due termini che ricorrono spesso quando si parla di Industria 4.0. Il perché ce lo racconta proprio Bedin. “Specialmente nel caso di oggetti 3D realizzati con processi manuali, ci sono sempre delle differenze, spesso impercettibili a occhio nudo, tra un oggetto e l’altro. Poter contare su una macchina in grado di adattare i parametri della lavorazione da effettuare alle caratteristiche fisiche dell’oggetto è un fattore particolarmente importante perché permette di essere flessibili e organizzare la produzione sulla base di lotti composti anche da pezzi diversi tra loro”.
Tra i requisiti da rispettare assolutamente in fase di progettazione, poi, c’era la riduzione al minimo degli scarti di produzione, i quali assumono un valore importante in settori come l’oreficeria o l’occhialeria.
Lo scarto, in questo caso, ha una doppia valenza e va inteso sia come pezzi danneggiati o non conformi alle specifiche, sia come materiale asportato in fase di lavorazione. “Ci piace dire che del pezzo non si butta via niente: la macchina è assolutamente ermetica perché deve contenere al suo interno tutto lo sfrido, cioè il materiale asportato, che può essere recuperato completamente”, conferma Andrea Ciscato.
Un altro aspetto non secondario nel quadro di una collaborazione che davvero, per una volta, definire preziosa è quanto meno riduttivo.