I miei venti anni al Massimo
Tra i fondatori di AIdA, poi diventata AIdAM (Associazione Italiana di Automazione Meccatronica), e artefice della sua crescita nel corso degli ultimi 20 anni, il Direttore Massimo Vacchini conosce in profondità un settore che ha vissuto un’evoluzione tecnologica molto significativa, anticipando per certi versi l’avvento di Industria 4.0. Abbiamo ripercorso insieme a lui una bella storia di associazionismo, fatta di ricordi, bilanci e progetti per i prossimi anni.
di Fabrizio Dalle Nogare
Cosa vi ha spinto, esattamente 20 anni fa, a creare AIdA?
Il compianto fondatore di PubliTec, l’ingegner Massaro, ebbe la grande intuizione di fondare una rivista sulle macchine di assemblaggio, un settore nuovo per l’epoca. Con lui e con l’aiuto di un’altra persona dalla grande visione, Elio Vegetti, allora proprietario di un’azienda di sistemi di avvitatura, abbiamo deciso di creare un’associazione che potesse dare rappresentanza al settore. Il terzo elemento era la fiera, AmmTech, che abbiamo promosso prima a Vicenza e quindi a Milano. Tutte iniziative che ebbero, nell’immediato, grande successo.
Come è cambiato il modo di intendere l’associazione nel corso del tempo?
In questi 20 anni è molto cambiato il settore, innanzitutto. Un settore – è bene ricordarlo – difficile da quantificare a livello numerico non avendo ancora un codice ATECO di riferimento. Rispetto agli inizi, i costruttori di macchine di assemblaggio hanno un’identità e una specializzazione più definite, in termini sia di settori di sbocco che di dimensioni delle macchine che realizzano. Anche questo ha permesso al comparto di crescere molto e oggi l’Italia è saldamente il secondo paese di riferimento in Europa dopo la Germania. Le aziende che nascono oggi , inoltre, hanno un’inventiva tecnologica molto spiccata, pur rimanendo perlopiù di dimensioni ridotte.
Come si è arrivati a includere anche produttori e distributori di componentistica?
Fin dall’inizio avevamo l’idea di mettere insieme costruttori di macchine e produttori o distributori di componenti. Nel 2004, poi, sono entrati in associazione gli specialisti dei sistemi di visione, che hanno creato un Gruppo dedicato, l’IMVG.
Abbiamo nel tempo incluso anche i centri di ricerca universitari, con cui abbiamo realizzato importanti progetti. Adesso aggiungeremo la parte Educational, rivolta alle aziende già iscritte che hanno una divisione dedicata al mondo della scuola. Questo perché il settore sta crescendo e interessa non più solo il business, ma anche la condivisione della conoscenza.
Nel 2011 c’è stato il cambio di denominazione, da AIdA ad AIdAM. Qual è stato il significato di questo passaggio, anche in termini di finalità e obiettivi?
Quando è nata AIdA, lo scopo principale era comunicare che esisteva il settore dell’assemblaggio. Il cambio di nome si è reso necessario quando l’identificazione del settore non era più legata strettamente dell’assemblaggio, ma all’automazione meccatronica. Quest’ultima parola, tanto di moda oggi, racchiude tre discipline – meccanica, elettronica e informatica – che i costruttori di macchine di assemblaggio maneggiavano fin da prima. La denominazione precedente, insomma, era diventata limitante.
I presidenti passano, i direttori restano, si dice. Quali sono oggi le principali responsabilità di chi è chiamato a gestire non solo la parte strategica, ma anche la gestione più operativa di un’associazione?
Premetto che sono passati 20 anni ma non me ne sono quasi accorto. Questo vuol dire che il settore mi ha talmente appassionato che non mi ha stancato, anzi continua a stimolarmi e mi spinge a dedicare all’associazione tutto il tempo necessario perché possa crescere, prima di trasferire le mie conoscenze a qualcuno che abbia, possibilmente, la mia stessa passione.
Le associazioni sono un bacino di conoscenza incredibile. D’altra parte, richiedono molto impegno. Il direttore è l’interfaccia tra le aziende associate, i vertici associativi e l’esterno: deve fare proposte, ascoltare gli associati – nel bene o nel male – e supportarli se hanno bisogno di consigli.
Quali sono i principali rimpianti o motivi di delusione, pensando a questi 20 anni da direttore?
Non essere riusciti a portare a termine un progetto di aggregazione tra aziende associate a cui abbiamo lavorato nel 2007, che poteva portare alla creazione di un soggetto composto da 10 realtà con peculiarità diverse, dotato di 350 dipendenti, 8 sedi in Italia, 2 all’estero e un fatturato intorno ai 90 milioni di euro.
Il secondo rimpianto è stato il fallimento della fiera AmmTech, che avrebbe avuto il potenziale per diventare un riferimento per il settore in Italia.
Poi c’è la questione della scarsa partecipazione di alcuni associati. Quello che dico a chi entra a far parte di AIdAM è che partecipare alla vita associativa è fondamentale. Le occasioni di networking sono importantissime sia per favorire il business, sia per incontrare potenziali clienti o fornitori, sia per confrontarsi con i concorrenti.
Ci sono poi le commissioni, che servono ad affrontare delle problematiche che riguardano il settore, non i singoli associati. Penso al caso della RC prodotto, con cui abbiamo riscritto la responsabilità civile per il settore. Anche i Consigli Direttivi sono momenti cruciali: in questi anni proprio da lì sono scaturite proposte come il contratto di manutenzione programmata, il documento di collaudo, o sono stati indicati i mercati esteri da affrontare.
Quali sono, invece, i motivi di maggiore soddisfazione?
La crescita del settore, che AIdAM e le persone che lavorano e hanno lavorato per AIdAM hanno certamente contribuito a promuovere.
Specialmente le PMI hanno bisogno di servizi che noi possiamo fornire: dal marketing alla parte legale, fino a internazionalizzazione, supporto tecnico e corsi per imprenditori.
In futuro, credo che l’associazione debba spingere, per esempio, sui servizi finanziari.
L’ideazione dello Smart Vision Forum è stata possibile grazie alla creazione di una sinergia con ANIE Automazione. La ricerca di collaborazioni con altri soggetti è una strada da percorrere anche in futuro?
L’importanza delle aggregazioni vale anche per l’associazione, non solo per le aziende. Ci siamo resi conto che c’era una complementarietà con ANIE nel settore della visione industriale e abbiamo lavorato per mettere insieme le esigenze delle varie aziende.
D’altronde, l’idea di fare sistema con altre associazioni è nel nostro DNA praticamente da sempre e, nei prossimi anni, credo che il tema sarà sempre più sentito proprio perché la possibilità di trovare sinergie e ottimizzare le risorse, anche economiche, interessi innanzitutto agli associati stessi.