Internazionalizzare sì, ma nel modo giusto
ITA (Italian Trade Agency) è la denominazione che ha assunto l’ICE dal 2011, quando l’ente ha affrontato una riorganizzazione che non ha tuttavia mutato il suo scopo: supportare le imprese italiane, e specialmente le PMI, nel loro percorso di internazionalizzazione. Proprio in quest’ottica, l’agenzia sarà presente alla BI-MU con un’area che ospiterà 12 start-up. Marinella Loddo, direttore dell’Ufficio ICE di Milano, ci ha concesso un’interessante chiacchierata che ha toccato aspetti anche molto tangibili dell’attività dell’agenzia.
di Fabrizio Dalle Nogare
Nel 2011 l’ICE (Istituto per il Commercio Estero) è diventato ITA (Italian Trade Agency). Oltre al cambio formale di denominazione, è cambiato qualcosa da un punto di vista più sostanziale?
È cambiata la figura giuridica, anzitutto, passata da ente pubblico non economico ad agenzia (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), cioè una struttura che ha il compito di raggiungere obiettivi fissati dal ministero di riferimento, nel nostro caso il MISE, dando seguito alle politiche di indirizzo economico del governo.
Siamo ripartiti con una nuova organizzazione: in Italia c’è una sede centrale a Roma, con uffici che si occupano dei diversi settori industriali, tra cui l’Ufficio Tecnologia Industriale, Energia e Ambiente (vedi box, ndr) e la sede di Milano, con competenza per le regioni del Centro-Nord e un approccio, quindi, territoriale. All’estero sono presenti 64 uffici e 14 punti di corrispondenza.
Anche la filosofia dell’ICE si è dunque adattata ai cambiamenti che attraversano il mercato…
È così, in effetti. La nostra azione non si limita a un supporto commerciale, ma comprende un supporto sulle modalità di presenza delle aziende nei mercati esteri, in termini di investimenti, collaborazioni industriali, trasferimento di tecnologia e così via. Per internazionalizzare, infatti, bisogna conoscere non solo i dati economici ma anche le usanze, i costumi, le tendenze di una nazione.
Che tipo di strumenti hanno a disposizione i piccoli imprenditori per essere aggiornati sull’andamento dei mercati esteri?
Curiamo diverse pubblicazioni che consentono di farsi un’idea dei mercati esteri e del loro andamento, come il Rapporto Commercio Estero ICE, pubblicato ogni anno, il Rapporto ICE-Prometeia “Evoluzione del commercio con l’estero per aree e settori”, che fornisce anche delle previsioni sulle prospettive future e “Italia Multinazionale” sugli investimenti.
Il nostro programma promozionale, finanziato dal fondo riservato all’ICE nella legge di Stabilità, conta circa 850 iniziative all’anno tra partecipazione a fiere e organizzazione di workshop, eventi, seminari B2B. In più, le aziende possono richiedere servizi di consulenza personalizzati a costi contenuti.
Quali passaggi dovrebbe affrontare una PMI che intende guardare all’estero?
Intercettare le fonti di domanda internazionale, prima di tutto, quindi vedere le importazioni dei principali paesi mondiali e di quelli che possono essere più promettenti. Le statistiche sono molto importanti e da lì occorre partire. È poi fondamentale analizzare anche la dinamica e l’andamento del settore in un determinato paese, così come il comportamento dei competitor. Se posso affidarmi a un’immagine, potremmo dire che se si vuole operare sui mercati esteri occorre essere un po’ strabici: pensare sì all’oggi ma, allo stesso tempo, cercare di percepire i segnali di cambiamento che vengono dai clienti così come dai mercati, per anticipare le tendenze future.
È corretto considerare la prossimità geografica di un mercato come il criterio principale, soprattutto per le PMI?
In generale, l’Europa è ancora il principale mercato di sbocco delle merci italiane. Vale ancora, insomma, il criterio secondo il quale i paesi più attrattivi sono quelli raggiungibili con non più di 2-3 ore di aereo. Questo perché lunghi viaggi implicano anche un aumento di costi e di risorse. Secondo quanto detto, quindi, i paesi dell’Est Europa, così come il Nord Africa, sono mercati sempre molto caldi per le imprese italiane. Sono però convinta che uno dei compiti dell’ICE, in quanto ente pubblico, sia quello di esplorare le potenzialità di mercati che non rientrano nei circuiti principali, con l’obiettivo di anticiparne le tendenze ed evidenziarne gli eventuali punti di interesse.
Dall’altra parte ci sono gli imprenditori, però, che devono fare la loro parte…
Occorre investire ancor di più in conoscenza, un aspetto sempre più importante nel contesto attuale, così come puntare sul networking, sulla rete di relazioni. Come ICE, spingiamo sempre le aziende a considerare l’idea di aggregarsi in reti d’imprese: in un mercato sempre più alla ricerca di soluzioni piuttosto che di singoli prodotti, è certamente più vantaggioso presentarsi uniti per contrattare con potenziali clienti anche di grandi dimensioni.
Secondo lei l’attenzione che di recente è stata dedicata all’innovazione tecnologica, anche grazie al Piano Nazionale Industria 4.0, fa percepire l’industria italiana come più moderna?
E qual è l’immagine della meccanica italiana all’estero? Lo svecchiamento del parco macchine in atto nelle aziende italiane sta dando riscontri molto positivi. I cambiamenti in atto nel mondo produttivo sono processi complessi, che coinvolgono anche le scuole e la formazione degli addetti, e devono necessariamente essere guidati col giusto equilibrio. Riguardo l’industria meccanica, gli addetti ai lavori ben conoscono il valore delle aziende italiane, capaci di trovare soluzioni personalizzate e proporre prodotti di alta qualità come pochi altri sono in grado di fare. A livello generale, però, non c’è ancora la percezione dell’industria meccanica italiana come settore d’eccellenza – al pari della moda, del food o dell’arredamento – ma si sta lavorando molto, anche dal punto di vista promozionale e della comunicazione strategica, per colmare questo gap.