Prove di Lighthouse Plant: alla ricerca della massima efficienza
Recentemente nominata “prioritized supplier” di una nota multinazionale del mobile svedese, l’azienda italiana Manuex realizza, con un processo produttivo che parte dalle materie prime, quasi 4,5 milioni di cassetti ogni anno. In partnership con Cosberg, e contando sulle opportunità della digitalizzazione, l’azienda sta portando avanti un progetto volto a massimizzare l’efficienza, partendo dalle linee di assemblaggio delle guide di scorrimento e mirando al miglioramento dell’intero ciclo produttivo. Un primo, concreto esempio di Lighthouse Plant.
di Fabrizio Dalle Nogare
Le Alpi Occidentali come vicino sfondo, tanto verde intorno e una sensazione di serenità avvolgono il piccolo paese di Quaregna, nel biellese. A due passi dal municipio si trovano i capannoni che un tempo erano destinati a quella che fu una delle molte aziende tessili della zona e che oggi – grazie a una serie di felici intuizioni – ospitano un’eccellenza metalmeccanica in grado di ridare fiato al territorio.
Varcata la soglia dello stabilimento produttivo (12.000 mq, a cui vanno aggiunti i 5.000 mq del magazzino per lo stoccaggio del prodotto finito), la calma e il silenzio che ci hanno accolto all’arrivo in paese svaniscono. Qui le macchine, fortunatamente, lavorano a pieno regime. “Manuex [che sta per Manufacturing with Excellence, ndr] è nata nel 2010, in seguito all’accordo sottoscritto dal gruppo FVG, Formenti e Giovenzana, con una nota multinazionale del mobile svedese, ad oggi l’unico cliente per cui produciamo”, racconta Antonio Camoletto, Plant Manager in Manuex. “Siamo partiti davvero da zero, progettando l’organizzazione dello stabilimento e acquistando i macchinari. Nel 2012 abbiamo consegnato il primo cassetto e siamo entrati a regime. All’inizio eravamo appena 50, oggi Manuex conta più di 200 dipendenti, 160 dei quali operano in produzione”. Il gruppo FVG, di cui fa parte l’azienda, ha l’headquarter a Monza e consociate, attive perlopiù nella lavorazione di componenti in metallo, in Italia, Cina, Brasile e Slovacchia.
Un volume di 4,4 milioni di cassetti l’anno
“Attualmente siamo uno dei tre fornitori che il nostro cliente ha selezionato per quanto riguarda i cassetti delle cucine”, ci spiega Camoletto. “Oltre al mercato italiano, serviamo quelli di Svizzera, Francia, UK, Russia, Benelux, Dubai, Turchia e Nord Africa. Il volume minimo di produzione che ci viene richiesto è di 4,4 milioni di cassetti l’anno ma siamo attrezzati a fronteggiare un eventuale aumento delle richieste e superare i 5 milioni di cassetti. In questo momento il volume produttivo giornaliero è di 20.000 cassetti per circa 240 giorni l’anno. Nel 2017, il turnover si è aggirato sui 57 milioni di euro”.
Il fatto di lavorare per un unico cliente, seppur molto importante, obbliga Manuex a ricercare la marginalità soprattutto nell’ambito della produzione, cercando di massimizzare l’efficienza dei processi produttivi e di ridurre al minimo gli sprechi, come vedremo più avanti. “In più, siamo tenuti a rispettare parametri piuttosto stringenti, in termini di logistica, risparmio energetico, riduzione delle emissioni di CO2 e sostenibilità in generale”, prosegue il Plant Manager. “C’è grande attenzione all’imballo, per esempio, che non deve danneggiarsi durante le varie fasi del trasporto fino al punto vendita, e che deve essere trasportato, sempre per ragioni di sostenibilità, in pallet di cartone e non di legno”.
Se è vero che i requisiti imposti sono stringenti, è stata grande la soddisfazione dell’azienda quando di recente, come ci raccontano, è stata nominata “prioritized supplier”: un privilegio riservato a non più di 30 fornitori nel mondo.
Un ciclo produttivo completo
Ma cosa realizza esattamente Manuex? E quanta ricerca tecnologica si nasconde in un cassetto? “A parte la copertura frontale, realizziamo internamente tutti i componenti”, risponde l’ing. Camoletto. “Profiliamo e verniciamo le pareti laterali in metallo sulle nostre linee dedicate, così come la cosiddetta gallery, cioè il tubo di sostegno per le versioni alte dei cassetti, che collega il pannello posteriore alla parte frontale per evitare che questi elementi si possano flettere. I componenti più complessi, però, sono le guide di scorrimento, composte a loro volta da più elementi: dalle parti in metallo su cui scorre il cassetto a quelle in plastica, sempre prodotte qui nel nostro stabilimento. I diversi elementi devono essere assemblati e abbiamo due linee dedicate prodotte da Cosberg. Alla fine del processo, inscatoliamo le parti prodotte in una confezione pronta per il punto vendita rispettando la filosofia del nostro cliente: l’imballo deve contenere il materiale nel minor spazio possibile”. Ciò che stupisce, visitando lo stabilimento Manuex, è vedere da vicino l’intero processo di trasformazione della materia e di creazione del prodotto, a partire dalla materia prima fino, appunto, all’imballaggio. Per la plastica, si parte dai granuli lavorati dalle macchine di stampaggio, mentre l’acciaio arriva in coil che vengono trasformati con l’ausilio di macchine che formano il profilo, lo tagliano, lo punzonano e lo coniano laddove necessario. Una volta verniciati i pezzi in metallo si passa all’assemblaggio, il cuore dell’automazione.
Il passo successivo dell’automazione
Se, infatti, il concetto di automazione come riduzione delle attività manuali a basso valore aggiunto è uno standard per Manuex sin dalla sua nascita, la sfida ora è quella di fare il passo successivo, sviluppando le potenzialità della fabbrica digitale. Antonio Camoletto ci racconta che Manuex sta lavorando su più fronti. “Condividiamo con Toyota un percorso finalizzato a sviluppare ulteriormente il concetto di manutenzione preventiva e uno con FCA sul versante della manutenzione professionale. Con il Politecnico di Milano e Cosberg – nostro partner già da alcuni anni, cioè da quando abbiamo dovuto riorganizzare la produzione per il cambio di prodotto che ci ha richiesto il cliente – abbiamo iniziato un percorso fondamentale che si propone di ottimizzare l’intero processo produttivo a partire dalle linee di assemblaggio, cioè le macchine più complesse dal punto di vista tecnologico. La scelta di individuare una linea a elevata complessità, esaminarla, individuare la porzione di linea da cui partire e lì agire ha un doppio razionale: da un lato ridurre i costi iniziali di investimento e quindi misurarne subito l’efficacia”.
Per poi – e qui sta il cuore del progetto Lighthouse Plant – estendere la stessa modalità di intervento anche alle altre fasi della produzione, riducendo sprechi e inefficienze grazie alle possibilità consentite dalla digitalizzazione: raccolta, monitoraggio e analisi dei dati, interventi programmati di manutenzione, utilizzo di componentistica a elevata efficienza e così via.
Verso le fabbriche “autonome”
In Cosberg – che, se così possiamo dire, sta mettendo a punto gli strumenti per fare l’upgrade delle linee – definiscono sì un onore ma anche una grande opportunità essere coinvolti nel progetto Lighthouse Plant. “È una grande opportunità perché Manuex è una realtà già caratterizzata da un elevato livello di automazione che – negli anni – ha costantemente innalzato facendo cospicui investimenti. Questo grande e ambizioso progetto diventa per noi terreno fertile sul quale sperimentare idee e soluzioni finalizzate a rendere sempre più concreta, reale, la nostra visione. Una visione in cui le fabbriche del futuro – di cui le Lighthouse Plant rappresentano un’anticipazione – sono realtà che “si guidano” da sole, proprio come già sta avvenendo per alcuni modelli di automobile e come presto avverrà per gli impianti di automazione. Questi ultimi, infatti, sono già molto vicini a essere “autonomi” nella gestione degli imprevisti, nell’auto-diagnosi, nell’offrire condotta guidata per la risoluzione dei guasti, nella capacità di occuparsi autonomamente degli ordini relativi ai ricambi. Allargando questi concetti alle fabbriche, non è difficile immaginare che queste arriveranno alla configurazione automatica di processi, impianti, livelli di consumo, in funzione degli ordini in entrata, della disponibilità di materie prime e risorse, delle caratteristiche tecniche del materiale in ingresso. La prima fase del progetto è a buon punto e l’esperienza acquisita sul campo ha già guidato alcune nostre scelte, soprattutto sul fronte tecnologico. Più andremo avanti, più diventerà complesso e impegnativo, ma – allo stesso tempo – sempre più avvincente, costruttivo e stimolante”.
Individuare il collo di bottiglia
“Attraverso il monitoraggio dell’intero impianto di assemblaggio effettuato con un software sviluppato dal Politecnico per la modellizzazione dei flussi – spiega Stefania Basini, Responsabile Lean Manufacturing in
Manuex – è stato possibile individuare il collo di bottiglia, cioè la singola macchina da cui partire, anche per via della complessità delle lavorazioni effettuate. Nello specifico, la linea di assemblaggio del profilo “middle” della guida. In un secondo momento, all’interno di questa porzione di macchina, sarà individuata la stazione su cui intervenire, attraverso modifiche – che vanno dall’inserimento di attuatori elettrici o di sistemi che rilevano in modo predittivo il degrado della macchine – da integrare nelle stazioni pilota”.
La sinergia tra Manuex e Cosberg ha già prodotto l’adozione di migliorie sulle linee di assemblaggio: in alcune stazioni, ad esempio, la saldatura è stata sostituita dalla rivettatura; in generale, è stato aumentato il numero di robot a sei assi, è stato installato un sistema di ingrassaggio automatico, oltre a un sistema di marcatura e dei check poka-yoke.
“Con Cosberg condividiamo un piano di azione”, sintetizza Stefania Basini. “Noi ci avvaliamo delle loro competenze in termini di software, di progettazione, di logica e, al tempo stesso, possiamo dare preziose indicazioni su come sviluppare le linee”.