Quando i robot industriali sono vestiti da cobot

Il concetto di Safety è uno dei pilastri dello smart manufacturing, soprattutto quando si parla di come far interagire uomo e macchina: quanto tempo devono lavorare insieme e come devono farlo mantenendo un livello produttivo ottimale sono sicuramente i due aspetti più importanti. Oltre ai robot industriali e ai cobot, Mitsubishi Electric ha pensato a delle soluzioni intermedie: un robot industriale, ma in grado diventare collaborativo al bisogno, senza inficiare sul processo industriale né mettendo a rischio la sicurezza degli operatori.

di Rossana Pasian

Il Safety è, dei tre pilastri costituenti la filosofia della robotica di Mitsubishi Electric, forse quello più in voga anche presso i competitor parlando della crescente necessità di dover (e voler) far interagire insieme uomo e macchina secondo i dettami dello smart manufacturing più evoluto. L’approccio di Mitsubishi Electric è stato, però, leggermente diverso da quello del mercato, avendo attuato una politica graduale e misurata alla reale necessità applicativa. Avendo ben chiaro l’obiettivo di dover far collaborare e lavorare fianco a fianco uomo e robot, ci si è interrogati sul come poter raggiungere tale obiettivo senza dover necessariamente coinvolgere un cobot, ma anche attraverso altri device e strumenti che rendano lo scenario produttivo collaborativo.
“Mentre tutti parlavano di robot collaborativi”, racconta Marco Filippis, Product Manager Robot South EMEA di Mitsubishi Electric, “Mitsubishi Electric si è fatta invece portavoce del concetto di applicazione collaborativa attuando un approccio tecnologico con soluzioni ‘ibride’, scalabili in base all’applicazione reale, fino ad arrivare ai cobot veri e propri. In funzione di quello che è il tempo di interazione tra la macchina e l’uomo sono state infatti messe a punto differenti soluzioni”.

Robot industriale contro robot collaborativo
Se si vuole un’ampia produttività a fine linea è necessario l’utilizzo di un robot industriale, cioè quello “classico” che ormai si vede da molti anni negli stabilimenti, che deve essere necessariamente chiuso all’interno di una gabbia di protezione, andando infatti a velocità particolarmente elevate con il rischio di colpire l’operatore. Dall’altra parte ci sono i robot collaborativi puri, quindi in grado di coesistere con l’uomo, senza nessun tipo di barriere; ma, per ragioni di sicurezza e di natura stessa del robot, non possono garantire uguali velocità e produttività. Tra queste due soluzioni, che si possono definire diametralmente opposte, ce ne sono diverse intermedie, che possono risolvere alcuni dei problemi degli utilizzatori.
“Il problema di Industry 4.0”, spiega Marco Filippis, “è stato quello di far percepire due aspetti che secondo me sono errati. Il primo è che il robot collaborativo sarebbe stato il futuro dell’industria in qualsiasi campo, ma ciò non è possibile: il cobot, infatti, ha una sua ben chiara natura e una sua ben definita collocazione nel mercato; se si utilizza un robot collaborativo per applicazioni industriali, a un certo punto ci saranno delle mancanze, riguardanti la velocità oppure la struttura meccanica, perché se lavorando oltre i limiti fisici c’è il rischio di rottura”. “Il secondo errore” continua Marco Filippis “è che c’è stata una gestione binaria, se non addirittura conflittuale, tra il robot industriale e il robot collaborativo. Ma queste due soluzioni nascono per fare operazioni differenti, e una non può sostituire l’altra, almeno per come conosciamo l’industria adesso”.

Applicazioni “cooperative”
Intanto, nel mezzo stanno nascendo applicazioni che possono essere considerate “cooperative”. Mitsubishi Electric ha sviluppato il modulo di sicurezza avanzata MELFA Safeplus, già agli albori di Industry 4.0. Si tratta di una centralina, che viene connessa al controller del robot e nella quale si vanno a collegare degli elementi Safety, dalle barriere ai laser scanner fino a otto ingressi Safety. Grazie ai sensori esterni è possibile creare intorno al robot delle aree collaborative, il che significa che possono essere a velocità differenti, bassa durante l’approccio e zero quando l’operatore è in prossimità del robot. Il secondo step di MELFA Safeplus è il MELFA Safe Skin, ovvero, oltre agli ingressi Safety che delimitano l’area di warning, i robot industriali vengono coperti con una “pelle” multisensoriale, quindi dei sensori che al tocco fanno fermare il robot.
Il grande vantaggio di queste soluzioni ibride è che non si è costretti a inficiare sulla produttività a fine linea, anche se l’operatore è distante, e allo stesso tempo non è necessario restare lontano dal robot per paura che colpisca le persone.
È stata sviluppata, di fatto, una soluzione industriale, ma che può diventare collaborativa quando serve: “Vestiamo un robot industriale da cobot” commenta Marco Filippis. Il vantaggio di questa soluzione è che si hanno delle funzionalità certificate, ma soprattutto creando delle aeree collaborative non bisogna più preoccuparsi se ciò che sta intorno al robot è collaborativo o meno: è una macchina industriale che viene resa collaborativa nel raggio di un valore definito.

La robotica collaborativa si avvicina a quella industriale
Mitsubishi Electric ha sviluppato anche il robot MELFA Assista. In uscita nel 2020, prevede un payload di 5 kg al polso e uno sbraccio di 932 mm, posizionandosi così in quello che per la robotica collaborativa è, appunto, un prodotto intermedio. Dopo la sua commercializzazione, partirà un lavoro per la scalabilità del robot, per arrivare in futuro ai 10 kg di payload, per avere una gamma completa che risponda a un vasto range di applicazioni.
MELFA Assista è un robot che ha caratteristiche abbastanza definite: non ha batterie per i motori (utilizza gli MRJ5 di Mitsubishi Electric), ma soprattutto vanta una ripetibilità molto elevata, di circa 0,2 mm in posizione, perché, anche se la struttura interna è collaborativa, si è scelto di mantenere alcuni dettagli che sono caratteristici dell’industriale. La struttura meccanica sugli ultimi due assi è molto rigida, cosa che permette sia nel direct teaching, cioè quando il robot viene trascinato per fargli acquisire delle posizioni, sia quando è utilizzato tramite software di avere un livello di ripetibilità comparabile ai suoi “fratelli” industriali.
Il software del cobot è easy-to-use, in funzione del fatto che molto spesso i robot collaborativi finiscono nelle mani degli end user, quindi a persone che non hanno un background robotico. MELFA Assista, come si è accennato, può essere programmato, oltre che con il direct teaching, con una tastiera di programmazione con due software alternativi, entrambi di Mitsubishi Electric, RT ToolBox3, che copre tutti i robot, oppure il software speciale RT VisualBox. Con il secondo, è possibile creare tramite app un diagramma di flusso, questo permette all’utilizzatore di gestire il modo in cui raccordare gli assi, il modo in cui gestire i branch condizionati (se è un ramo solo, due o più rami) per definire ciò che deve fare il robot in quel momento, l’apertura e la chiusura delle pinze e molto altro. Il vantaggio è che è tutto molto grafico, e di conseguenza diretto. Se è necessario fare qualcosa di più complesso si passa a RT ToolBox3, che dà maggiore livello di flessibilità. Nella simulazione 3D è possibile importare i CAD e, con una buona approssimazione, definire il ciclo di lavoro del robot.

Le applicazioni per cobot e per soluzioni intermedie
“Ritengo ci siano applicazioni nate per impiegare un cobot”, commenta Marco Filippis. “Tali applicazioni prevedono un legame stretto tra uomo e robot come ad esempio operazioni coordinate in cui il cobot effettua operazioni che lo rendono un collega.”. Ci sono delle attività ripetitive, usuranti e che richiedono molta precisione, che non per forza devono essere compiute a velocità alte, perché magari bisogna dare modo all’operatore di avere il tempo di fare la sua parte di assemblaggio o manipolazione: per questo tipo di applicazioni il cobot è ideale. Nelle soluzioni ibride, invece, rientrano tutte quelle applicazioni in cui è necessario avere una produttività che si avvicini molto a quella industriale, ma allo stesso tempo l’operatore può intervenire occasionalmente nell’area di lavoro. Di conseguenza, la scelta tra l’utilizzo di un cobot puro o di una soluzione ibrida è dettata dal tempo di interazione con l’umano.
“Magari in futuro ci saranno delle nuove applicazioni dedicate al cobot”, afferma Marco Filippis, “già concepite a livello di progettazione per utilizzarlo. Mitsubishi Electric crede nella filosofia giapponese dei ‘piccoli passi’: quando esce un nostro prodotto sappiamo che è testato e può garantire una qualità eccellente e delle performance interessanti per il mercato. Mitsubishi Electric è conosciuta per la qualità: non possiamo permetterci che i clienti dicano che un nostro prodotto non risponde agli standard. Su questo basiamo le nostre strategie aziendali”. Per MELFA Assista è andata proprio così: è stato sviluppato quando ancora non era conosciuta molto questa tipologia di applicazione ibrida, è stata perfezionata e poi presentata al mercato.

Safety e intelligenza artificiale
Anche l’intelligenza artificiale gioca un ruolo chiave nella Safety e nella convivenza tra robot e umano, agevolando l’operatore nel proprio lavoro e rendendo il robot intelligente. Infatti, il robot di per sé nasce come un braccio di asservimento, se non viene integrato con della sensoristica esterna che gli dica quello che deve fare. Mitsubishi Electric, attraverso la AI, intende migliorare le performance del robot sotto l’aspetto della movimentazione sia in rapporto con l’uomo sia in applicazioni un po’ particolari.
Con MELFA SmartPlus Mitsubishi Electric propone delle soluzioni, hardware più software, in grado di migliorare delle funzioni che il robot già possiede, come per esempio l’utilizzo del sensore di forza. Questo serve in tutte quelle applicazioni in cui il robot si deve adattare a una non linearità del percorso da seguire oppure a un assemblaggio molto preciso. Mitsubishi Electric ha integrato al sensore di forza un algoritmo di intelligenza artificiale, che permette di andare a modificare il controllo della velocità del robot: in questo modo si va a fare del deep learning, perché tendenzialmente quello che si ha è un’identificazione e una modifica del controllo di velocità in modo da raggiungere un risultato che è migliori la rapidità e l’efficienza. Il robot quindi impara ad adattare la propria velocità e la propria forza in base alla situazione reale del momento.
Mitsubishi Electric, inoltre, ha investito nel progetto in collaborazione con Real Time Robotics per creare l’applicazione Robot Motion Planning, che aiuta a evitare le possibili collisioni tra robot e uomo o tra robot e robot, e permette soprattutto di fermare i robot senza toccarli e al robot di capire se e quali variazioni dinamiche ci sono state intorno a lui, e quindi di correggere dinamicamente in tempo reale la traiettoria. Tutto questo è possibile grazie a un sistema di telecamere e a un hardware dedicato, insieme all’algoritmo di intelligenza artificiale, che consentono di lavorare in un sistema completamente destrutturato. “È il robot che si adatta alla presenza dell’uomo e non il contrario” ha concluso Marco Filippis.

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