Il valore aggiunto della robotica mobile collaborativa
La robotica collaborativa è al momento ancora un comparto di nicchia nell’industria, ma nel futuro potrebbe coinvolgere sempre più aziende e sempre più settori. Questo lo sa bene KUKA, che sta investendo sui cobot e propone soluzioni all’avanguardia per il mondo dell’assemblaggio. Abbiamo raggiunto al telefono Alberto Pellero, Director Strategy and Marketing presso KUKA Roboter Italia, con cui abbiamo parlato dello stato dell’arte della robotica collaborativa nell’assemblaggio, delle sue innovazioni come la sinergia con gli AGV e dell’importanza di avere tecnici preparati.
La robotica collaborativa sta man mano prendendo sempre più piede nel mondo industriale, andando a sostituire gli operatori in diverse operazioni non ergonomiche e ripetitive, che non lasciano spazio all’intelletto umano e che quindi non portano un vero valore aggiunto. Questo è vero soprattutto per il mondo dell’assemblaggio, dove i cobot stanno lentamente facendosi strada all’interno degli stabilimenti. “La robotica collaborativa è un segmento allo stesso tempo importante, ma ancora di nicchia – spiega Alberto Pellero – secondo le statistiche dell’IFR, infatti, si parla di circa il 4% di robot collaborativi nel panorama degli oltre 300.000 robot industriali che si vendono ogni anno nel mondo. Però è una tecnologia che sta solo iniziando a far vedere le proprie potenzialità, quindi nel futuro penso avrà degli sviluppi interessanti”. La produzione industriale richiede produttività elevata e di conseguenza alta velocità; il grande problema è che la velocità non è compatibile con le normative di sicurezza legate alla collaborazione uomo-robot. La domanda che sorge spontanea è: quando la robotica collaborativa può essere utilizzata al meglio delle sue potenzialità? È ideale laddove ci sia un’esigenza di lentezza e/o di intervento umano, come per esempio nell’assemblaggio manuale. “I robot industriali tradizionali non sono adatti a quel tipo di operazione – sottolinea Alberto Pellero – perché avrebbero bisogno di essere ipersensorizzati, ma questo richiede una spesa molto elevata. Quindi entra in gioco la robotica collaborativa: il cobot fa una parte dell’assemblaggio e ne lascia un’altra all’operatore”. Il robot, in questo senso, rappresenta un ulteriore utensile, anche se intelligente, nelle mani dell’umano, che lo utilizza per quelle mansioni che non può o non vuole fare, per esempio le meno ergonomiche, quelle dove si manipolano oggetti pesanti oppure con azioni ripetitive. I robot KUKA sono presenti soprattutto dove bisogna effettuare degli assemblaggi con feedback di forza, dove, per esempio, è il robot a dover trovare, grazie la sua sensibilità data dai sensori di coppia integrati, la posizione giusta. In questo modo è possibile fare un assemblaggio automatico laddove prima era tutto demandato alla sensibilità dell’operatore, con un rischio di errore umano alto. “Per citare un caso applicativo – racconta Alberto Pellero – Lamborghini usa i nostri cobot in una fase di avvitatura sotto scocca per un suo modello di SUV: in questo caso l’operatore dovrebbe movimentare un trapano a circa 1,80 m di altezza, ma l’operazione, chiaramente poco ergonomica, è lasciata al robot, che lavora in sinergia con un robot mobile”.
Robot collaborativi, anche con altri robot
KUKA ha da qualche anno coniugato robotica collaborativa e mobile, per rendere le operazioni ancora più automatiche e lasciare ancora più tempo agli operatori per altre attività, oltre a migliorare la loro sicurezza e salute. Gli AGV proposti da KUKA sono di diverse dimensioni e pesi, a seconda dell’applicazione dove verranno impiegati: si passa da robot mobili di svariate tonnellate, utilizzati per la movimentazione di oggetti di grandi dimensioni come le turbine degli aerei, fino a modelli più compatti, come il modello KMB 500 (KUKA Mobile Platform) da 500 kg ideale per le industrie di produzione auto, dove muove i telai da una stazione all’altra. E proprio quelli di quest’ultima tipologia sono i protagonisti della sinergia con i cobot: “Il nostro robot mobile collaborativo – spiega Alberto Pellero – si chiama KMR iiwa, cioè KUKA Mobile Robot, il quale estende l’area di lavoro del cobot grazie proprio al fatto che questo sia montato su un sistema mobile che si può spostare per tutto lo stabilimento”.
L’AGV stesso, tra l’altro, si può definire robot collaborativo, perché dotato di sensori laser che monitorano la presenza di persone, cosicché rallenti o fermi la sua “corsa”, per poi riprenderla nel momento in cui non rilevi più ostacoli nella sua traiettoria. Utilizzano la suite di navigazione SLAM, che tramite la scansione dello spazio circostante crea una mappa e permette al robot di scegliere la traiettoria migliore per una determinata missione, il tutto in completa autonomia.
Digitalizzazione e manutenzione
Questa sinergia ci porta anche a un aspetto fondamentale della fabbrica contemporanea e 4.0: l’interconnessione tra i suoi diversi elementi. “I robot KUKA dal 1996 possiedono sia nel controller sia nel PC una scheda di rete, quindi sono da sempre interconnessi. – racconta Alberto Pellero – I dati di status del robot e della sua produttività insieme ai programmi dello stesso sono facilmente trasferibili sui server o in cloud, e successivamente analizzabili con fieldbus”. KUKA propone un proprio portafoglio di soluzioni di digitalizzazione e soprattutto di analisi dei dati, chiamato KUKA Digital Services: questi servizi comprendono il digital twin, quindi la virtualizzazione completa di una cella di lavoro robotica per fare delle analisi in fase di progettazione, fattibilità, produttività eccetera, e l’ottimizzazione delle prestazioni di una linea robotizzata tramite uno sviluppo di consulenza sulle celle robotizzate denominato VCS (Virtual Commissioning System). “Ciò che normalmente utilizziamo – spiega Alberto Pellero – è il KUKA Micro Services, un software cloud-based, ma utilizzabile anche su server locali per quei clienti che hanno problematiche di sicurezza dati. Questo software analizza lo stato del robot, e può essere utile, per esempio, per le attività manutentive: fornisce i dati sugli intervalli sulla prossima manutenzione programmata e tutti i diversi alert, quali sovratemperatura dei motori, raggiungimento di soglie del robot eccetera; si apre quindi la porta alla manutenzione preventiva”.
La manutenzione predittiva, invece, non è compatibile con il mondo della robotica collaborativa. “Sui robot al momento non esiste – afferma Alberto Pellero – perché non abbiamo degli algoritmi efficaci che possano predire la rottura di una sua parte; inoltre, i robot sono una parte dell’impianto, non un elemento a sé stante come può essere una macchina utensile. Un altro problema che abbiamo riscontrato è quello dei fermi macchina: se l’algoritmo, per esempio, dice che tra un paio di settimane c’è il rischio che si rompa un motore, si ferma la produzione per manutenerlo o cambiarlo quando poi magari non si sarebbe rotto? Quindi cerchiamo di evitare queste situazioni”. KUKA sopperisce a questo attraverso pacchetti di manutenzione programmata: si va dalla manutenzione annuale, fino a l’assistenza h24 e 7/7, soprattutto per quei clienti che non possono fermare la produzione e che hanno un gran numero di robot.
I robot sono macchine intelligenti?
Un altro cardine dell’industria 4.0 è l’intelligenza artificiale, che sta acquistando ampio spazio in tutti i settori. “L’espressione ‘intelligenza artificiale’ – afferma Alberto Pellero – secondo me non è adatta alla robotica industriale: infatti, la produzione dev’essere solida e seriale, ed è quindi fondamentale lasciare il meno possibile all’invenzione. Se invece parliamo di intelligenza artificiale intesa come robot in grado di capire da solo cosa fare, la farei risalire già ai primi sistemi di visione artificiale, circa 30 anni fa: questi mettevano gli occhi al robot e gli dicevano dov’era posizionato l’oggetto oppure che la parte assemblata, attraverso un controllo qualità, era assemblata male. I sistemi di visione e i sensori si sono evoluti negli anni, rendono i cobot sempre più intelligenti”. Ci sono fabbriche che lavorano “al buio”, cioè dove la presenza dell’umano è ridotta al minimo, ed è essenzialmente presente solo in fase di controllo, e sono i robot a fare tutto il lavoro di produzione. “Ma il ruolo di quest’ultimi non richiede ‘creatività’ – sottolinea Alberto Pellero – sono intelligenti grazie ai sensori e ai sistemi di visione, non lo sono in modo intrinseco. Vedo difficile uno scenario futuro con dei robot come quelli dei film di fantascienza che compiono azioni e valutazioni senza il controllo umano”. KUKA, in ogni caso, vuole rendere ancora più intelligenti e autonomi i cobot, tenendo sempre conto che l’operatore umano, e soprattutto la mente umana, deve restare al centro della fabbrica. “Per il nostro showroom di Grugliasco – racconta Alberto Pellero – abbiamo sviluppato una cella robotizzata dove è presente un cobot in grado di capire cosa c’è dentro una bottiglia, acqua, sabbia o altro materiale, semplicemente manipolandola, e può farlo grazie ai sensori di coppia integrati e a un algoritmo che analizza i loro comportamenti”. Lo showroom di KUKA è sia utilizzato come vetrina per i clienti attuali e potenziali, ma anche, se non soprattutto, per gli studenti delle scuole superiori. KUKA, infatti, ha intrecciato negli anni diverse collaborazioni con istituti tecnici italiani, attraverso il KUKA College che organizza corsi, seminari e webinar sul mondo della robotica industriale (non solo per la scuola). Alcuni robot dell’azienda sono anche stati dati alle scuole, in modo tale che i ragazzi possano toccare con mano ciò su cui lavoreranno dopo il diploma, se non addirittura già lavorarci durante gli anni scolastici. “La formazione è fondamentale per KUKA – spiega Alberto Pellero – sia che passi per il re-skilling di chi è già operativo nell’industria, sia per chi sta per entrare in questo mondo. L’innovazione tecnologica corre molto velocemente e con essa le competenze richieste dalle aziende, che richiedono nuove figure adeguatamente formate. Inoltre, è un grosso aiuto per il futuro dei ragazzi: per esempio, se hai già programmato un robot mentre eri a scuola hai una marcia in più, e le aziende tengono conto di questo”.