Edge computing: dove il calcolo serve davvero
L’Edge computing è una architettura IT distribuita che consente di elaborare i dati sulla periferia, il più vicino possibile alla fonte di origine. Si sopperisce così alle latenze che impediscono l’esecuzione di applicazioni con tempistiche vicine al real -time
di Valerio Alessandroni
L’aumento dei dispositivi collegati a Internet (IoT) sta producendo un’enorme quantità di dati da elaborare nei data center, spingendo al limite i requisiti di larghezza di banda della rete. Nonostante i miglioramenti della tecnologia di rete, i data center non possono sempre garantire velocità di trasferimento e tempi di risposta accettabili.
Il problema è che la larghezza di banda disponibile non è infinita e, nonostante gli enormi investimenti dei provider in infrastrutture IT, rischia di non essere adeguata, in particolare per alcune specifiche necessità.
I vantaggi dall’edge computing rispetto al cloud computing
Fino a poco tempo fa, il cloud computing era considerato l’approccio tradizionale per soddisfare i requisiti dell’IoT.
Il cloud computing consente infatti l’accesso a una serie condivisa di risorse informatiche (come reti, server, supporti di archiviazione, applicazioni e servizi) con una minima interazione tra il centro di gestione e il fornitore di servizi. Tuttavia, l’utilizzo del cloud computing come server centralizzato, che generalmente è geograficamente distante, aumenta la frequenza delle comunicazioni tra i dispositivi periferici utilizzati dagli utenti (tablet, computer, braccialetti o smartphone) diventando una limitazione per le applicazioni che richiedono una risposta in tempo reale.
Il cosiddetto edge computing (o fog computing), diventato molto popolare con l’avvento di Industria 4.0, è un concetto di calcolo distribuito che avvicina il calcolo stesso e l’archiviazione dei dati alla posizione in cui sono necessari. Ciò riduce al minimo la necessità di comunicazioni a lunga distanza tra client e server, migliorando la latenza (quindi le prestazioni della rete) e permettendo di risparmiare larghezza di banda.
In particolare, elaborando i dati più vicino alla fonte e riducendo la distanza fisica che devono percorrere, l’edge computing (o elaborazione al margine) ottimizza i dispositivi Internet (IoT) e le applicazioni web. In sostanza, l’edge computing è una “rete di micro data center che elaborano o memorizzano localmente i dati critici in una zona molto limitata” (fonte: IDC).
Il “margine della rete” per l’IoT e la comunicazione con Internet
Per i dispositivi IoT, il “margine della rete” è il punto in cui il dispositivo, o la rete locale che contiene il dispositivo, comunica con Internet. Il limite è un po sfocato: per esempio, il computer di un utente o il processore all’interno di una videocamera IoT possono essere considerati il margine della rete, ma anche il router dell’utente, l’ISP o il server periferico locale possono rappresentare il limite. L’importante è che il margine della rete sia geograficamente vicino al dispositivo, a differenza dei server tradizionali che possono essere molto lontani dai dispositivi con cui comunicano. Prendiamo in considerazione un edificio protetto da videocamere IoT ad alta definizione. Si tratta normalmente di telecamere “stupide” che trasmettono continuamente a un server cloud un segnale video non elaborato. Sul server cloud, il segnale video di tutte le telecamere viene filtrato da un’applicazione di rilevamento del movimento per fare in modo che solo le parti contenenti attività siano salvate nel database del server. Ciò significa che c’è un’attività costante e significativa sull’infrastruttura Internet dell’edificio, perché l’elevato volume di riprese video trasferite consuma una notevole larghezza di banda. Inoltre, c’è un carico molto pesante sul server che deve elaborare contemporaneamente le riprese video da tutte le telecamere. Immaginiamo ora che i calcoli eseguiti dai sensori di movimento siano spostati sul margine della rete. Se ogni telecamera utilizzasse il proprio processore interno per eseguire l’applicazione di rilevamento del movimento e inviare i clip al server secondo necessità,
l’uso della larghezza di banda si ridurrebbe in modo significativo, perché molte delle riprese non verrebbero più trasmesse. Inoltre, il server dovrebbe memorizzare solo i clip importanti, quindi potrebbe comunicare con un numero più elevato di telecamere senza sovraccaricarsi.
Privacy e sicurezza: cosa cambia e quali sono gli eventuali rischi
Per quanto riguarda gli aspetti di privacy e sicurezza, la natura distribuita dell’edge computing modifica gli schemi tradizionalmente utilizzati nel cloud computing: non solo i dati dovrebbero essere crittografati, ma dovrebbero essere adottati diversi meccanismi di crittografia, poiché possono transitare tra diversi nodi distribuiti collegati tramite Internet. D’altra parte, mantenendo i dati sul margine è possibile spostare la proprietà dei dati raccolti dai fornitori di servizi agli utenti finali.
L’edge computing può tuttavia presentare anche alcuni svantaggi, come l’aumento dei potenziali attacchi alla sicurezza. Con l’aggiunta di più dispositivi intelligenti in rete, come i dispositivi IoT dotati di processori integrati, ci sono nuove opportunità per i malintenzionati. Un altro svantaggio è la richiesta di più hardware locale. Per esempio, mentre a una telecamera IoT occorre un processore integrato per inviare i dati video non elaborati a un server, per poter eseguire i propri algoritmi di rilevamento del movimento richiederebbe un computer molto più sofisticato con una maggiore potenza di elaborazione.
Un’iniziativa concreta a Catania per il Mobile Edge Computing
Lo scorso dicembre si è svolta a Catania la prima campagna di test sul campo del progetto di innovazione europeo “Scene – Smart City on the Edge Network Enhancements”.
Il progetto si propone di realizzare un’innovativa piattaforma IoT per il Mobile Edge Computing, in cui un insieme di dispositivi Gateway Intelligenti (IGW, “Intelligent Gateway”) sono posizionati in veicoli che percorrono la città, e al loro passaggio interagiscono con differenti sensori distribuiti tutti intorno, sia per raccogliere dati da inviare al centro servizi (la “Service Platform di Scene”) sia per configurare da remoto i sensori stessi. Altro importante obiettivo è realizzare Scene come piattaforma Open, in cui terze parti, tipicamente Smart City Service provider, possano installare proprie applicazioni sul Gateway, in modo da portare l’elaborazione direttamente in periferia, in prossimità dei sensori dispiegati secondo un approccio di edge computing. Abilitare l’utilizzo di sensori low cost è un altro importante obiettivo di progetto, che si ritiene possa essere fattore abilitante per la creazione di un ecosistema di nuovi servizi e startup.
Durante il pilot test di Catania è stata testata la versione 1.0 della piattaforma Scene utilizzata per il monitoraggio di infrastrutture ed edifici mediante sensori di movimento e vibrazione. Sei differenti sensori sono stati posizionati su alcune pareti interne ed esterne di un edificio storico: si tratta di quattro accelerometri commerciali beacon Bluetooth e di due sensori dotati di accelerometro, giroscopio e termometro. Questi ultimi sono prototipi wireless low-cost basati su tecnologia
Raspberry, e consentono di raccogliere molteplici parametri di performance della piattaforma Scene. I dati generati da tutti i sensori sono stati inviati alle unità IGW installate all’interno di tre bus di AMT (Azienda Metropolitana Trasporti) che periodicamente circolavano in prossimità dell’edificio monitorato. All’interno di uno di tali Bus il team di progetto ha condotto anche una serie di test sulle funzionalità di Internet e Content Delivery Management offerte dall’unità IGW installata a bordo.
Durante i test sono state registrati dalla piattaforma centinaia di migliaia di eventi che sono adesso all’attenzione dei ricercatori del progetto Scene per essere analizzati.