La sicurezza nei robot collaborativi
Il tema della sicurezza nella robotica collaborativa è assai complesso. Con le loro 17 safety function native, i cobot di Universal Robots sono intrinsecamente sicuri e garantiscono l’incolumità dell’operatore in ogni condizione, incidendo su vari aspetti
Rispetto ai robot tradizionali, i cobot si sono distinti immediatamente per alcune differenze sostanziali fin dal loro ingresso nel campo dell’automazione. Il loro livello di sicurezza intrinseco ha dimostrato la possibilità di una robotica da implementare in tempi rapidi, con spese di attrezzaggio contenute, in layout saturi e senza bisogno di segregare porzioni di spazio da destinare all’operatività del robot, separata da quella dell’uomo. In sostanza, si è venuto a creare per le imprese un modo nuovo di produrre e automatizzare. I cobot di Universal Robots, specialista nel settore dell’automazione collaborativa, sono nati nel 2005 quando iniziò lo sviluppo del primo prototipo, un UR5. Da allora la gamma si è arricchita con nuove proposte fino al UR16e del 2019.
Fare la valutazione dei rischi della singola applicazione
I cobot sono nati principalmente in risposta a un bisogno di flessibilità per automatizzare operazioni semplici e produzioni con un’elevata variabilità. Si pose fin da subito il problema della sicurezza: essendo strumenti dal deployment rapido, dovevano anche garantire la possibilità di essere applicati in ogni condizione operativa, anche senza gabbie di protezione. I cobot vengono definiti “quasi macchine” poiché sono automazioni aspecifiche, in grado di svolgere decine di applicazioni diverse. L’abbinamento con un “end effector” consente l’automazione di compiti specifici. I cobot UR sono intrinsecamente sicuri poiché, in virtù delle 17 safety native, sono in grado di garantire l’incolumità dell’operatore in ogni condizione. Quella che va condotta, secondo la normativa vigente, è invece l’analisi del rischio e la sicurezza dell’applicazione. Un cobot sarà sempre sicuro ma se, per esempio, nell’esecuzione del task dovesse maneggiare strumenti taglienti o appuntiti, allora è necessario verificare che l’applicazione nel suo complesso sia sicura per l’operatore. Questa quindi è una prima fondamentale specifica da tenere presente: fare la valutazione dei rischi della singola applicazione.
Quali sono le norme per la sicurezza?
Il tema della sicurezza è estremamente complesso. Le norme sono sostanzialmente di tre tipi, con l’aggiunta di una “technical specification” che non ha valore obbligatorio, ma funge da linea guida. Sono in vigore le norme di tipo A come la ISO 12100, che riguarda in generale l’analisi del rischio, e le norme di tipo B come la ISO 13849-1, che dettaglia il comportamento delle singole parti dell’applicazione. Infine le norme di tipo C che riguardano nello specifico i robot e danno indicazioni ai costruttori (ISO 10218-1) e agli integratori (ISO 10218-2). Vi è poi la ISO/TS 15066, una specifica tecnica che fornisce alcune indicazioni su parametri come forza e pressione. Non esistono parametri fissi che definiscono sicura un’applicazione: anche a bassa velocità e con ridotto grado di forza, la manipolazione di un oggetto tagliente può risultare pericolosa. I casi vanno valutati uno per uno conducendo l’analisi non tanto sul cobot, che è intrinsecamente sicuro, né sulla cella, ma sull’applicazione robotica nel suo complesso.
Collaborativi in modo nativo
Le safety function integrate nativamente sui cobot UR sono tutte progettate secondo la UNI EN ISO 10218-1, e in conformità con quanto indica la TS 15066. Inoltre si avvalgono di certificazione TUV (che li rende ad esempio adatte ad applicazioni in cleanroom) e hanno la caratteristica di essere ridondate, ovvero prevedono sempre la presenza di almeno due sistemi elettronici programmabili in comunicazione fra loro nella stessa unità di controllo. Questo è il campo in cui UR ha sviluppato maggiormente la propria competenza. Per l’alto livello di sicurezza garantita, l’80% dei cobot UR opera senza recinzioni di protezione intorno, previa analisi del rischio. Un buon robot collaborativo deve offrire all’utente la possibilità di incidere su molti e diversi parametri di sicurezza per rendere nullo il rischio per l’operatore. I cobot UR offrono ben 17 funzioni di sicurezza PLD in categoria 3, che significa che vi è un doppio controllo su ciascuna funzione e che in caso di malfunzionamento di un controllo, subentra il secondo. Le safety vanno a regolare velocità, forza, momento angolare, possibilità di movimento dei singoli gradi di libertà del cobot. Ma non si limitano a fare solo questo.
Il concetto di collaboratività
Per Universal Robots al concetto di sicurezza si è sempre associato anche quello di collaboratività, intesa come semplicità di programmazione, flessibilità, facilità e rapidità di impiego e reimpiego. Le safety native incidono anche su questi aspetti. Ad esempio è possibile creare un’area di lavoro condivisa in cui il movimento del cobot avviene a parametri ridotti (“reduced mode”, un comportamento ancor più collaborativo e sensibile agli urti) o addirittura aree in cui è vietato al cobot di lavorare (“restricted zone”). È sufficiente impostare un piano verticale virtuale nella programmazione (sono fino a 8 quelli configurabili). All’approssimarsi del piano virtuale, il cobot rallenta fino ad arrestarsi e non lo oltrepasserà mai, se questo viene appunto programmato come invalicabile. In questo modo posso far operare gomito a gomito l’addetto e il robot conservando l’apertura del layout. Questo abbatte le spese di attrezzaggio e i fermi macchina. Oppure è possibile andare ad aumentare il grado di sensibilità del cobot quando entra nella zona condivisa con l’operatore: velocità e potenza andranno a scemare. Le safety vanno quindi interpretate non solo come un modo per rendere sicuro il robot, ma anche per rendere più flessibile e accessibile l’applicazione e più semplice e rapido il suo sviluppo. Inoltre, i cobot non sono solo strumenti sicuri (intrinsecamente) ma anche in grado di aumentare la sicurezza dell’ambiente lavorativo, proprio perché migliorano le condizioni di ergonomia dello stesso. I cobot danno il meglio quando applicati in compiti cosiddetti DDD (“dull, dirty, dangerous” ovvero noiosi, sporchi e pericolosi).