Industry 4.0 e la strategia Oceano Blu
Prendendo spunto da un libro che spiega come l’innovazione sia la chiave per avere successo in un business già saturo, vediamo quali sono le mosse che le imprese possono compiere per aprire mercati inesplorati, in cui la crescita è garantita
di Valerio Alessandroni
“Strategia Oceano Blu” (Blue Ocean Strategy) è un libro pubblicato qualche anno fa, scritto da W. Chan Kim e Renée Mauborgne, professori all’INSEAD e co-direttori dell’Istituto INSEAD Blue Ocean Strategy. L’opera afferma che le imprese possono avere successo non tanto battendo i rivali quanto, piuttosto, creando nuovi spazi di mercato.
Nell’accezione del libro, l’oceano blu rappresenta uno spazio di mercato inesplorato, che si distingue dall’oceano rosso, ossia dall’oceano insanguinato dove nuotano gli squali della concorrenza e dove le imprese devono accontentarsi di bassi margini di profitto, perché l’approccio strategico è quello tradizionale, basato sulla sconfitta dei competitor. Creare un oceano blu significa invece puntare sull’innovazione per avere successo anche in un mercato già saturo. Attraverso queste mosse strategiche, si crea nel valore dell’impresa, nei suoi clienti e nei dipendenti, accedendo a nuova domanda e riducendo la competizione. Così, si può avere successo aprendo un’attività commerciale in un’area già coperta dalla concorrenza, oppure offrire servizi già disponibili dando loro una veste nuova. Questo è un esempio dei “nuovi business model” di cui tanto si parla nell’ambito di Industry 4.0.
Le tecnologie digitali e le categorie su cui hanno l’impatto maggiore
Il tema “oceano blu” ci porta a parlare di Industry 4.0. Secondo un rapporto della società di consulenza McKinsey, le nuove tecnologie digitali avranno un impatto profondo nell’ambito di quattro categorie di sviluppo: la prima riguarda l’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività, comprendendo per esempio i Big Data, l’Internet of Things e le comunicazioni m2m (machine-to-machine). La seconda è quella dei sistemi di analisi, che permettono di ricavare valore, ossia informazioni, dai dati raccolti. La terza categoria di sviluppo riguarda l’interazione tra uomo e macchina, che richiede interfacce sempre più intuitive, e la realtà aumentata: per esempio per migliorare le proprie prestazioni sul lavoro utilizzando strumenti come i Google Glass. Infine c’è tutto il settore che si occupa del passaggio dal digitale al “reale” e che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo migliore. In particolare, il rapporto osserva che oggi solo l’1% dei dati raccolti viene utilizzato dalle imprese, che potrebbero invece ottenere vantaggi a partire dal “machine learning”, dalle macchine cioè che “imparano” dai dati via via raccolti e analizzati.
Una opportunità di crescita per le PMI italiane
E per quanto riguarda l’Italia? Il primo Rapporto Industria 4.0 delle PMI italiane a cura del nuovo Laboratorio Manifattura Digitale dell’Università di Padova, nato all’interno del Dipartimento di Scienze economiche Marco Fanno, fornisce alcuni spunti interessanti. Il quadro restituito dai ricercatori, che si sono concentrati sulle aziende del Nord, è a due facce. L’indagine è stata effettuata su un campione di 5.421 imprese manifatturiere appartenenti a diversi settori del made in Italy. Solo il 19% circa delle aziende intervistate ha dichiarato di utilizzare almeno una delle tecnologie Industria 4.0. Tali imprese hanno iniziato ad utilizzare queste tecnologie da tempo, prima degli incentivi proposti dal governo e non sono solamente quelle più grandi. Infatti, il 40% delle adottanti è costituita da piccole imprese. Le tecnologie dell’industria 4.0 sono adottate principalmente per produrre prodotti personalizzati. Il 68% delle imprese adottanti realizza prodotti su misura o personalizzati, mentre solo il 32% prodotti a catalogo (standard). Le motivazioni che hanno spinto all’adozione sono legate, nel 51,2% dei casi, alla volontà di migliorare il servizio al cliente. Segue l’efficienza nel 43,4% dei casi. In termini di impatti, le imprese dichiarano principalmente tre risultati ottenuti: aumento della produttività (46%), efficienza (46%), incremento della qualità del servizio al cliente (45%).
Un programma che intende incentivare l’imprenditoria digitale
Che fare, allora? Una risposta può venire da Watify (da “What if I’” ossia “Che cosa succederebbe se sviluppassi la mia idea e creassi una startup?”), un programma promosso dalla Commissione Europea che ha lo scopo di sensibilizzare le PMI sui vantaggi della digitalizzazione grazie ad esempi concreti. Infatti, il problema dell’imprenditoria europea non risiede tanto nella mancanza di idee – che, anzi, abbondano – quanto nei tantissimi “dubbi” che assalgono gli aspiranti imprenditori al momento di mettere in pratica le loro idee. In sostanza, Watify punta a coinvolgere i principali opinion leader dell’innovazione digitale, e a promuovere così una adeguata formazione per i giovani o meno giovani che vogliono innovare PMI esistenti o sviluppare nuove idee imprenditoriali. I cosiddetti “Ambasciatory Watify” sono professionisti di provata esperienza che aiutano le aziende a muovere i primi passi in un terreno ricco di ostacoli e di promesse non sempre mantenute. Il progetto prevede inoltre diverse sessioni, durante le quali l’esperienza di alcuni imprenditori, che hanno superato i dubbi e hanno avviato la digitalizzazione della propria azienda, viene condivisa con i partecipanti. A ciò si aggiunge una serie di strumenti e servizi. Per esempio, lo strumento “Selling online” fornisce informazioni sui vari obblighi normativi a carico delle società, specialmente delle piccole-medie imprese, che vendono online o che hanno intenzione di farlo. Lo strumento offre informazioni sulle normative legali e sulle azioni pratiche che una società deve intraprendere per risultare conforme all’ambiente normativo al momento dell’avvio di un’attività di vendita online, soprattutto se tale attività ha luogo al di fuori del proprio Paese.