La roboetica è già qui!
Oggi l’automazione robotizzata ha un ruolo determinante, insostituibile in molti processi industriali. Nuove frontiere applicative si stanno aprendo in settori ancora inesplorati e SIRI, associazione culturale fondata nel 1975 senza fini di lucro, ha lo scopo di costituire un riferimento per quanti sentono l’esigenza di approfondire i temi relativi alla robotica e alle sue applicazioni.
Per celebrare i 250 numeri di Deformazione, organo ufficiale SIRI, abbiamo incontrato l’ingegner Domenico Appendino, Presidente dell’Associazione con cui abbiamo fatto il punto sullo sviluppo tecnologico della robotica e sui conseguenti aspetti etici. Nel limbo tra presente e futuro, la roboetica è, infatti, una realtà di cui SIRI è garante e portavoce autorevole.
by Fabrizio Garnero
Presidente Appendino, il primo numero di Deformazione venne pubblicato nel settembre del 1993 e ovviamente si parlava già di robotica industriale; che anni erano? Eravamo ancora in una fase pionieristica?
Proprio il 1993 fu, con ogni provabilità, l’anno della consacrazione della Robotica; uno spartiacque tra la fase pionieristica e l’inizio di una nuova era in cui i robot avevano raggiunto una loro maturità applicativa nonostante la continua evoluzione. Il robot industriale è stato installato per la prima volta nel 1961 da Engelberger e praticamente dieci anni dopo, nel ’73, il parco installato era già di circa 3.000 robot in lavoro. Dopo altri dieci anni il numero salì a 70.000 unità e nel ’93 erano circa 560.000 i robot attivi nell’industria. Ma se andiamo ancora avanti di un altro decennio i robot installati superarono le 800.000 unità. Io amo presentare questi numeri perché testimoniano la rapida e costante diffusione della robotica industriale che, da quasi sessant’anni, sta avendo un ruolo da protagonista nell’evoluzione tecnologica della moderna industria. Tornando quindi alla domanda direi che nel 1993, in ragione di quasi 600.000 robot installati, la fase pioneristica era ormai terminata. Certamente, la robotica di allora era lontana parente di quella attuale, ma non era più un oggetto sperimentale, bensì uno strumento di lavoro capace di alleviare all’uomo determinate mansioni pericolose, logoranti e alienanti.
Lei è Presidente di una delle Associazione più longeve in Italia e nel Mondo; SIRI è stata infatti fondata nel 1975. Avete di fatto contribuito con il vostro lavoro a diffondere il verbo della Robotica nell’Industria e non solo. Può, a grandi linee, riassumere le tappe salienti di questo lungo cammino?
Effettivamente l’essere stata creata nel 1975, un decennio dopo che i robot erano entrati in produzione – come detto nel ’73 erano circa 3.000 quelli installati nell’industria -, ha permesso a SIRI di vivere e percorrere la storia della robotica nel nostro paese. L’Italia ha sempre avuto un ruolo molto importante nello sviluppo di questa tecnologia poiché tre dei primi modelli di robot sono stati inventati proprio da aziende italiane; il robot di misura addirittura nel 1965 dall’ingegner Sartorio in DEA. Abbiamo quindi contribuito all’evoluzione da protagonisti.
SIRI, per sua natura, essendo un’Associazione culturale, ha sempre avuto il compito di far conoscere questo nuovo strumento industriale, spiegando e diffondendo la cultura della robotica nell’industria. Io mi sono affacciato a questo mondo negli anni ’80, quando andando nelle aziende a proporre delle soluzioni robotizzate si incontrava ancora una barriera culturale notevole poiché in pochi avevano un’idea chiara di cosa potesse fare un robot. C’era però la consapevolezza di avere a disposizione uno strumento innovativo che avrebbe potuto cambiare il nostro modo di produrre aprendo alle aziende nuovi orizzonti e interessanti scenari produttivi. Il mio ricordo personale di questo periodo è molto bello perché da persona appassionata che si occupava di robotica, facendo incontrare la mia conoscenza in materia con l’esperienza dei direttori di produzione o degli imprenditori dell’epoca, nascevano sovente delle idee molto interessanti frutto di know how e punti di vista differenti ma complementari.
Erano gli anni in cui i convegni SIRI erano sempre pieni di gente assetata di conoscenza e con la voglia di aggiornarsi su queste macchine così innovative e per certi versi rivoluzionarie.
Negli anni, con la maturazione del mercato, SIRI ha evoluto il suo modo di fare formazione sulla robotica istituendo un Corso Nazionale specializzato in automazione industriale e robotica che è diventato un punto fermo nel panorama formativo nazionale in cui si fondono, da sempre, le conoscenze complementari del mondo accademico e dell’industria, a garanzia di contenuti sempre nuovi e attuali, in linea con lo sviluppo tecnologico proposto dal mercato. Ultimamente, come SIRI, ci siamo per esempio occupati dei temi legati all’Industria 4.0, di cui i robot sono indiscussi protagonisti ed elemento cardine di questo passaggio evolutivo del nostro settore manifatturiero. I cosiddetti cobot, ovvero i robot collaborativi, sono un altro tema caldo su cui si sta lavorando e dibattendo tanto quanto la realtà virtuale. Non a caso, oggi, siamo alla vigilia dell’edizione 2019 del corso, in programma dall’8 al 10 ottobre, che quest’anno affronterà proprio uno degli argomenti più dibattuti e controversi, ovvero quello del passaggio dalla realtà virtuale alla robotica reale.
SIRI ha quindi seguito e accompagnato il percorso evolutivo della robotica negli ultimi cinquant’anni facendosi portavoce di ogni innovazione e sviluppo proposto dal mercato in modo obiettivo, ponendo la giusta enfasi sugli aspetti realmente innovativi e vantaggiosi di queste macchine affascinanti, affrontandone gli aspetti critici e demonizzandone il ruolo nell’industria, spesso ingiustamente additata come fonte di disoccupazione dell’uomo.
In questi ultimi anni, la crescita importante della robotica, ha inevitabilmente fatto alzare l’attenzione sugli aspetti sociale ed etico di questo fenomeno che è diventato estremamente importante; da qui l’esigenza da parte di SIRI di affrontare anche questi temi con risvolti sociali attraverso una serie di iniziative convegnistiche come “robot e lavoro”, “robot e salute” e in un prossimo futuro “robot ed etica”, attraverso le quali fare chiarezza e mettere i fatidici “puntini sulle i” relativamente ad alcuni temi come appunto la riduzione dei posti di lavoro per l’uomo quale diretta conseguenza dell’uso dei robot nei processi produttivi. Un concetto che potrebbe sembrare vero pensando al fatto che il robot va tipicamente a sostituire l’uomo in quelle mansioni pericolose, logoranti e alienanti per via dei ritmi e della ripetitività dei gesti, dove la bassa manovalanza, se non ridestinata può effettivamente essere a rischio della perdita del posto di lavoro. Nella realtà dei fatti, però, è un concetto sbagliato e forviante in virtù delle nuove mansioni in cui l’uomo può essere ricollocato, più appaganti e soprattutto rispettose del suo intelletto quale valore aggiunto da mettere a frutto per migliorare il prodotto e l’attività dell’azienda che, resa più efficiente proprio attraverso l’impiego della robotica, porta a un incremento della produttività.
Ciò a sua volta innesca un meccanismo di crescita della competitiva che sovente crea la necessità di nuovi posti di lavoro e quindi porta a delle assunzioni. Lo abbiamo dimostrato nei fatti attraverso il contributo di alcuni imprenditori intervenuti per raccontare la propria esperienza. Se dovessimo girare un remake del celebre film “Tempi Moderni” (1936), Charlie Chaplin non dovrebbe più stringere un dado degli ingranaggi finendo per esserne risucchiato ma, con ogni provabilità, programmerebbe un robot demandato ad avvitare dadi e bulloni.
Cosa si sente di dire dunque ai detrattori che sempre più frequentemente indicano la robotica come il principale nemico del lavoro dell’uomo?
Semplicemente di leggere e di documentarsi attraverso fonti attendibili perché esiste una correlazione tra tasso di disoccupazione e numero di robot installati che dice esattamente il contrario della loro tesi: dove cresce la disoccupazione, cala il parco dei robot installati e, di conseguenza, la competitività e la capacità di crescita delle aziende. Se prendiamo in considerazione i grafici dal 2005 a oggi, si vede chiaramente che dove ci sono più robot installati la disoccupazione diminuisce. Il criterio è molto semplice: i robot sì portano via posti di lavoro ma ne creano altri più qualificati e in numero maggiore.
Io sono Presidente SIRI, ma lavoro in Prima Industrie che nasce con il robot laser, ovvero una tecnologia che, in virtù delle potenze in gioco, non può che essere impiegata con soluzioni automatizzate e non manuali. Vi sono quindi contesti produttivi e applicativi per cui la robotica e l’automazione costituiscono l’unica strada tecnologica percorribile che crea posti di lavoro diretti.
Sostanzialmente direi quindi che il problema non è la robotica, bensì la formazione che necessariamente questa comporta e su questo aspetto vi sono ancora delle grosse lacune da parte sia dell’industria che della scuola e dell’Università.
Il robot nasce per non far spaccare la schiena e quegli operatori che nel 1961 manipolavano fusioni incandescenti pesantissime e pericolosissime. Il secondo robot installato è stato un robot di saldatura, altro ambito piuttosto difficile in cui si è ritenuto opportuno intervenire per alleviare l’uomo da una mansione poco salubre e logorante, per farlo diventare un operatore che gestisce, supervisione e programma in modo agevole una macchina automatica.
Il concetto iniziale di robot si sta perpetrando per far sì che il lavoro più complesso e meno adatto all’uomo sia demandato alla macchina lasciando all’operatore solo quella parte del lavoro più intelligente, meno pesante e più remunerativa. Certo! Questo implica che l’uomo sia disposto a cambiare e a far evolvere le sue competenze; e questo è un problema di formazione. La domanda da porsi è dunque sul come si utilizzata la robotica e non il perché. La tecnologia non si ferma perché nella natura umana è insita la volontà costante di migliorare sé stessi. Certamente tutto ciò coinvolge anche persone di una certa età meno avvezze e disponibili al cambiamento, i cui timori sono comprensibili, ma chiedersi perché occorra investire in robotica è un po’ come chiedersi perché, oggi, per andare a New York si prenda l’aereo. In entrambi i casi, la risposta è scontata.
Come SIRI ci consideriamo quindi fautori e portavoce di quella che viene definita “roboetica” ovvero l’etica degli esseri umani che progettano, costruiscono e utilizzano i robot applicata in modo assennato ai processi robotizzati con cui l’uomo interagirà sempre più strettamente. Questo sarà il futuro da cui però il presente non è così tanto lontano.
In un mondo in cui l’uomo deve essere al centro, perché abbiamo sviluppato la tecnologia per questo, dobbiamo avere la capacità di gestire questo sviluppo in modo che sia al nostro servizio e non viceversa. L’etica della robotica è per lo più un problema degli organi governativi; per fortuna in Europea vi è una Commissione che sta studiando le leggi della robotica per dare delle regole certe di progettazione di queste macchine che in un futuro non così lontano saranno anche dotate di un’intelligenza artificiale. Tutto ciò affinché non vengano prodotti sistemi che non siano al servizio dell’uomo e comunque controllabili da esso. Al limite con la regola dell’autodistruzione della macchina se si entra in conflitto con essa. Io credo fortemente in uno sviluppo sostenibile e responsabile di tecnologie di questo tipo, non potrei che esserlo, ma ammetto comunque che non bisogna abbassare la soglia di attenzione verso alcune tematiche poiché vedo anche la presenza di alcuni cigni neri all’orizzonte come per esempio il forte sviluppo della Cina nel campo della robotica, un grande paese moderno dove però l’etica è un concetto ancora un po’ astratto.
In conclusione direi che occorre affrontare da uomini responsabili un’evoluzione imprescindibile per gestirla in modo corretto e questo è un pensiero sempre più diffuso e condiviso.
Il 2017 è stato un anno record per la robotica nel mondo. L’industria manifatturiera globale ha, infatti, per la prima volta, superato la soglia di due milioni di robot in funzione: 2.098.000 robot industriali operativi per l’esattezza (+ 15% di unità rispetto al 2016). Qual è la situazione del 2018? Può darci un quadro dell’andamento generale e parlarci, in particolare, della realtà italiana?
Non avendo ancora dati precisi parlo di una mia sensazione – che poi rispecchia il sentiment del Gruppo di Lavoro Statistiche della SIRI – secondo cui potremmo tranquillamente parlare di più di due milioni e mezzo di robot industriali installati nel mondo, di cui 400.000 venduti nel corso dell’anno. Di queste unità installate, metà sono in Asia, un po’ più di un quarto è impiegato in Europa e il restante in America. Dei 400.000 venduti nel corso dell’anno, invece, due terzi sono stati installati in Africa mentre il restante è stato più o meno equamente distribuito tra Europa e America. Storicamente, l’Asia è sempre stata un po’ il riferimento poiché c’è sempre stato un paese asiatico importante nel settore, prima il Giappone, ora la Cina, con Corea e Taiwan che le fanno da cornice.
In questo scenario, l’Italia si è comportata piuttosto egregiamente in quanto sono stati venduti nel nostro paese 8.000 robot nel 2017, con un aumento del +19% che, messo a confronto con il dato di altri paesi importanti è esattamente più del doppio di quello della Germania (+7%) e il triplo di quello degli Stati Uniti cresciuti del 6%. Per quanto concerne il 2018 il dato preliminare dell’IFR parla di un’ulteriore crescita dell’8% in Italia con 8.300 robot venduti, valore abbastanza in linea con il dato elaborato da SIRI e UCIMU che parla di un numero di poco superiore alle 9.000 unità, pari a circa un 11% di crescita.
L’Italia è dunque protagonista del settore tant’è vero che il sentiment di inizio 2019 parla ancora di crescita anche se non ci nascondiamo che si tratta di un anno piuttosto complesso per un’economia reale che non è sostanzialmente in crisi ma che deve fare i conti con alcuni nodi internazionali che creano grande incertezza a livello macroeconomico. Mi riferisco per esempio al conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina, al calo della Germania, ai grandi interrogativi legati al settore automotive dove si ipotizza l’abdicazione dei motori a scoppio a favore della e-mobility, per non parlare della nostra situazione politica; purtroppo la lista potrebbe essere ancora lunga. Il 2019 è dunque un anno di estrema incertezza, ragion per cui faccio fatica a fare una previsione attendibile del mercato italiano della robotica per il quale dovremo quanto meno aspettare fine settembre per avere un’indicazione più o meno reale che scaturirà dai lavori del nostro Gruppo di Lavoro Statistiche. Per fare una chiosa finale direi che l’Italia viene da anni importanti di crescita che, nonostante tutto, dovrebbe essere confermata – magari più contenuta -; non vi è dunque un vero e proprio timore di crisi, ma una maggiore attenzione a ciò che accade nel mondo che potrebbe rallentare la crescita.
Può spiegare come mai, il dato italiano, parla di robot venduti e non installati nel nostro paese?
La spiegazione è piuttosto semplice poiché l’Italia è caratterizzata da un ingente numero di system integrator, molto apprezzati nel mondo per la capacità di sviluppare soluzioni meccatroniche ad hoc, cucite addosso alle specifiche problematiche produttive. Questo fa sì che molti robot vengano acquistati qui in Italia ma installati in altri stati esteri, nei settori più diversi. Il mercato italiano è dunque molto importante come testimonia il fatto che sono presenti tutti i principali costruttori mondiali, ma piuttosto atipico poiché è sempre difficile sapere con esattezza quante delle celle robotizzate prodotte restino in Italia e quante vengano esportate. Una cosa è però certa: contrariamente a tutti i principali paesi utilizzatori di robotica – ricordo che siamo al settimo posto per vendite e al sesto per parco installato – in Italia, oggi, il settore più importante per la robotica è la General Industry, inteso come manifatturiero e non l’automotive e in questo siamo dei precursori perché è una tendenza che inizia a manifestarsi anche in altri mercati. Certo è che l’industria dell’auto quando investe muove dei quantitativi ingenti di robot, con tassi di crescita in doppia cifra e di questo, in virtù delle storiche battute di arresto che la nostra industria automobilistica ha avuto negli anni, è un qualcosa che tutt’ora soffriamo. Siamo però stati capaci di aprire altri settori industriali in cui abbiamo trovato nuovi ambiti applicativi che ci permettono di primeggiare nel mondo, anche grazie al contributo dei nostri system integrator.
In un contesto generale di euforia e crescita esponenziale della robotica, quale sarà, a suo parare, il ruolo della robotica collaborativa? Sarà così impattante e rivoluzionaria come sembra? Si parla, infatti, sempre più frequentemente di applicazioni collaborative che però non necessariamente integrano e ruotano attorno a un cobot.
Ritengo sia corretto parlare di applicazione collaborativa in cui il cobot manterrà sicuramente le sue promesse lavorando fianco a fianco con l’uomo ma in un ambiente pensato per essere collaborativo e totalmente privo di rischi per l’operatore. Tutta l’automazione, in senso lato, dovrà necessariamente andare in questa direzione. Robot e uomo coesisteranno in una cella produttiva resa sicura da una serie di sviluppi software e dispositivi quali per esempio sensori e sistemi di visone che renderanno l’ambiente sicuro a prescindere dalla natura e dalla tipologia di robot. Se poi questo dovesse essere un cobot, che è stato pensato e creato per questo, sarebbe l’ottimale.
In chiusura, la sua esperienza lavorativa la vede impegnato da sempre su due fronti estremamente innovativi, la robotica e la tecnologia laser. Posso chiederle, a suo parere, quale dei due ha maggiormente caratterizzato l’industria manifatturiera degli ultimi 25 anni? E quale, tra le due, rivoluzionerà il modo di produrre del prossimo futuro?
Quando una nuova idea origina un movimento industriale innovativo che esce dagli schemi e dalle logiche predefinite può considerarsi rivoluzionaria e, in questo senso, sia il laser che la robotica, lo sono state. Credo quindi sia impossibile fare un paragone tra le due tecnologie cui sono estremamente legato, entrambe universali e affascinanti. Credo però si possa fare una differenziazione: la robotica è nata per rispondere a delle problematiche produttive reali e, per certi versi note, mentre la tecnologia laser, all’inizio, era più una soluzione in cerca di problemi che via via, nel corso degli anni e della sua evoluzione, ha trovato e risolto cambiando di fatto il modo di produrre e lavorare di molti settori.