2020: quali prospettive per il mondo siderurgico?
In questo articolo riportiamo alcune analisi e approfondimenti su alcuni degli aspetti che hanno caratterizzato il mondo siderurgico nel 2019 e riportiamo le previsioni per il 2020 per il mondo dell’acciaio. Questi sono alcuni dei temi contenuti nella pubblicazione “Speciale 2019 – dodici mesi d’acciaio” realizzata da siderweb e scaricabile gratuitamente sul portale interamente dedicato alla community dell’acciaio.
di Fabrizio Cavaliere
Dopo un anno vissuto “di corsa”, seguiranno dodici mesi “al passo”; il 2020, infatti, per il settore siderurgico mondiale sarà contraddistinto da un tasso di crescita dei consumi inferiore a quello del 2019. Una crescita sostenuta soprattutto grazie al contributo dei Paesi in via di sviluppo. Lo prevede World Steel Association, l’associazione mondiale dei produttori di acciaio: “Nonostante l’outlook economico globale rimanga altamente imprevedibile, ci aspettiamo che il comparto dell’acciaio, nel suo complesso, aumenti il consumo dell’1,7% l’anno prossimo” ha dichiarato Al Remeithi, Chairman of the Worldsteel Economics Committee.
L’1,7% sarà la risultante di un +4,1% dei Paesi in via di sviluppo, di un +1,0% della Cina e di un +0,6% dei Paesi sviluppati. Tra questi, l’Unione europea, secondo le prospettive di Eurofer, sarà testimone di un aumento del consumo reale di acciaio dello 0,1% rispetto al 2019, mentre il consumo apparente (che comprende anche il ciclo delle scorte) avrà uno sprint maggiore, con un incremento del l’1,4%.
Secondo le previsioni, l’Italia sarà il nono Paese per consumo d’acciaio
In Italia, “sebbene al momento le prospettive per l’inizio dell’anno siano ancora incerte – ha dichiarato Stefano Ferrari, responsabile Ufficio Studi di siderweb -, nel 2020, secondo le previsioni di World Steel Association, il nostro Paese dovrebbe incrementare il consumo apparente di acciaio, arrivando a 27,5 milioni di tonnellate, circa 200.000 tonnellate in più rispetto al 2019”. Se il dato sarà confermato, l’Italia “sarà il nono Paese al mondo per consumo di acciaio”.
Per ciò che concerne le materie prime impiegate nella produzione di acciaio, in particolare minerale ferroso e carbon coke “le attese degli enti internazionali, delle banche e degli analisti sono orientati al ribasso” prosegue Ferrari. “In particolare per il minerale che, dopo un 2019 in rialzo e chiuso con prezzi medi annui di circa 90 dollari la tonnellata, l’anno prossimo dovrebbe attestarsi attorno ai 70-80 dollari la tonnellata grazie all’incremento della capacità estrattiva”. Il carbon coke, invece, subirà una riduzione di circa il 10% rispetto al livello del 2019.
La bomba Ilva sul mercato europeo
Queste, in breve, le prospettive per il 2020 contenute nello “Speciale 2019 – dodici mesi d’acciaio”, pubblicazione realizzata da siderweb che ha sintetizztoa in chiave siderurgica l’andamento dell’anno appena conclusosi in cui si è tornati a parlare della vicenda.
Come scritto da Emanuele Norsa della redazione di siderweb in un articolo pubblicato all’interno del suddetto speciale, “Le ultime settimane del 2019 sono state caratterizzate dal rinnovato interesse su scala globale per la situazione dell’impianto di Taranto e dell’operatività di ArcelorMittal in Italia.
Dopo un’estate travagliata ma all’apparenza tranquilla, l’annuncio ufficiale del colosso dell’acciaio mondiale rispetto all’intenzione di voler lasciare il controllo degli stabilimenti Ilva è arrivata come una bomba su un mercato europeo già di per sé in difficoltà.
Le negoziazioni tra ArcelorMittal e le autorità italiane in questo momento stanno continuando, e non è chiaro come si chiuderà questo nuovo capitolo della saga dell’Ilva. Quello che è certo, però, è che l’eventuale rilancio e aumento di produzione dello stabilimento dovrà per forza di cose subire un ritardo. È altrettanto evidente che la nuova ondata di incertezza rispetto alla effettiva operatività dello stabilimento di Taranto nei prossimi mesi non è positiva in un mercato come quello europeo che già fatica a riprendersi dopo un anno complicato”.
“Nelle ultime settimane molti osservatori del mercato internazionale hanno notato che la possibilità che Taranto riduca o fermi completamente le spedizioni di coils darà supporto ai prezzi su scala italiana ed europea” ha scritto ancora Norsa. “Se certamente questa ipotesi è reale, a oggi non possiamo dire che il mercato italiano ed europeo abbiano mostrato segnali evidenti di una ripresa particolarmente robusta, né che questa sia legata alle problematiche dell’Ilva.
Secondo gli indici Kallanish, il mercato italiano dei HRC ha recuperato circa 20 euro la tonnellata da inizio novembre. In questi ultimi giorni i produttori locali stanno cercando di spingere il prezzo ancora di qualche decina di euro, ma questo recupero rimane minimo se confrontato, per esempio, al rimbalzo di oltre 50 euro la tonnellata registrato in Nord America da fine ottobre. Anche nella vicina Turchia i prezzi del HRC domestico sono risaliti di oltre 60 euro la tonnellata dal fondo raggiunto a metà ottobre; dal CIS invece le offerte FOB sono rimbalzate di oltre 40 euro la tonnellata e stanno continuando a risalire.
I valori che maggiormente hanno mostrato una ripresa sono stati per ora quelli delle offerte per l’importazione da Turchia e India. Gli indici Kallanish indicano che il prezzo del HRC offerto per l’import in Sud Europa ha rimbalzato di circa 40 euro la tonnellata nel giro di un paio di settimane. Questo recupero è stato supportato dalla ripresa dei prezzi a livello globale e la volontà degli importatori di massimizzare l’effetto positivo del mercato anche grazie alle incertezze dell’Ilva.
Mentre i fornitori indiani hanno preferito ritirare le offerte per capire come posizionarsi sull’Europa, i turchi sono ancora molto attivi sul mercato ma le loro offerte sono salite fino a raggiungere quota 450 euro la tonnellata CFR Sud Europa all’inizio di dicembre. In Nord Europa, nel frattempo, i grandi produttori integrati come ArcelorMittal e Tata Steel stanno annunciando rialzi sui loro prezzi di listino di 30-40 euro la tonnellata, ma nel mercato delle transazioni gli effetti ancora tardano a farsi sentire. Certamente una ripresa ci sarà, soprattutto una volta che gli accordi di medio e lungo termine con il settore auto saranno del tutto conclusi; è però ancora difficile capire quanto il prezzo si riprenderà di fronte al fatto che i compratori rimangono scettici al momento.
“Certamente le problematiche dell’Ilva rappresentano un nuovo fattore da tenere d’occhio, ma non possiamo dire che la ripresa dei prezzi dei coil su scala europea sia supportata da questi accadimenti. I prezzi a ottobre hanno raggiunto livelli insostenibili e devono per forza di cose salire, in linea con la ripresa registrata su scala globale. Io credo, anzi, che le incertezze non aiutino mai il mercato, quindi questa attesa di ricevere chiarezza sull’Ilva in realtà non è altro che un fattore che blocca la normale e attesa ripresa dei prezzi in Europa”, ha commentato un responsabile vendite di una delle maggiori acciaierie europee.
L’andamento del primo quadrimestre
Difficile dire, al momento, come finirà la nuova crisi della vicenda Ilva. Per tale ragione riportiamo in questo pezzo anche le osservazioni oggettive contenute nell’articolo scritto da Davide Lorenzini, direttore responsabile siderweb dal titolo “Ex Ilva ancora alla ricerca del futuro. Tre nodi da sciogliere per raggiungere un patto condiviso per il rilancio”.
“Troppe le incognite ancora da risolvere per capire ‘come’ ma soprattutto ‘se’ il polo siderurgico di Taranto avrà un futuro. Tre sono gli elementi critici per dare una risposta a questo dubbio quasi amletico” scrive Lorenzini. “Il primo è rappresentato dai capitali necessari al rilancio, che per Taranto sono nell’ordine di diversi miliardi di euro. Risorse essenziali per riportare gli impianti in efficienza, per completare gli investimenti tecnologici e ambientali e ricostituire i livelli di circolante necessari a fronteggiare le complesse sfide del mercato.
Il secondo elemento di criticità è rappresentato dalla “variabile tempo”. Una variabile spesso sottovalutata sotto numerosi aspetti. In primis gli impianti: dopo sette anni di crisi in cui sono stati trascurati a causa delle necessità di dirottare risorse verso altri aspetti hanno raggiunto il punto critico. Oggi necessitano quindi di interventi dal costo sempre più ingente. Basti immaginare a cosa succede se si lascia un’automobile priva della manutenzione necessaria per sette anni. Se si è fortunati “cammina” ancora, ma per sistemare gli acciacchi i costi sono sicuramente superiori a quanto prospettato. Senza contare i numerosi interventi ambientali lasciati in sospeso per anni e su cui ora la magistratura chiede di stringere le tempistiche. Un fattore che spesso si deve scontrare con dei limiti tecnici dovuti ai ritardi dei cantieri.
Un esempio su tutti il caso di Afo 2, su cui nel 2019 è scoppiata la crisi per interventi concordati nel 2015 e mai fatti. Il tempo è una variabile critica soprattutto per la pazienza dei tarantini che hanno vissuto sette anni di promesse da vari governi senza che nessuno riuscisse a risolvere il problema. Una pazienza giunta alla fine come hanno testimoniato i momenti concitati che hanno accompagnato la visita del presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella città pugliese per ascoltare lavoratori e cittadini”.
Occupazione senza produzione?
“Il terzo nodo da sciogliere – riporta Lorenzini nel suo pezzo – sarà necessariamente quello occupazionale e in particolare degli esuberi. Un nodo che sin dal commissariamento del 2013 nessun governo, dei cinque che si sono avvicendati, ha mai voluto affrontare con serietà.
Già allora era chiaro che l’organico per una produzione vincolata per legge a 6 milioni di tonnellate era sovradimensionato. Le nuove economie di scala non avrebbero retto a lungo il peso degli addetti in forza all’azienda. Ora il nodo è venuto al pettine in tutta la sua drammaticità sociale, con richieste di riduzione di organico solo per il sito di Taranto di quasi il 57% degli addetti. Ben 4.700 esuberi nel triennio che insistono in un’area geografica troppo contenuta per reggere il contraccolpo di un taglio di 2.900 addetti già il primo anno. Numeri crudi che, se rapportati ai livelli di efficienza degli altri impianti siderurgici nei paesi sviluppati, appaiono spietatamente giustificati. Senza contare che anche i 1.912 addetti in forza all’amministrazione straordinaria non vedranno mai l’assunzione che avrebbe dovuto arrivare nel 2023”.
Serve un patto trasversale per il rilancio
“Volutamente, nel ragionamento – scrive Lorenzini – non sono stati considerati gli elementi giudiziari, ambientali, e economici che complicano ulteriormente l’equazione necessaria a trovare una soluzione efficace e duratura. Sulla vicenda Ilva difficilmente si riuscirà a ottenere il tutto e subito, probabilmente serve una soluzione graduale di visione e di incremento progressivo dell’attività. L’azienda deve di fatto ripartire da zero e trovare nuovi equilibri, al suo interno e con la città altrimenti il rischio è che ogni soluzione si riveli solo effimera e temporanea
tra una crisi e l’altra fino a quando gli impianti dell’azienda non raggiungeranno la propria fine naturale. Serve un patto ora per trovare una soluzione chiara e che venga condivisa e rispettata da tutti gli attori, il prezzo altrimenti sarà il non poter più ripensare a possibili soluzioni di rilancio, ma solo a come gestire la chiusura definitiva con tutte le conseguenze dirompenti che porterà con sé.
Le scelte di oggi sono forse l’ultima possibilità di scongiurare questa eventualità, ed è quindi bene compierle con le idee il più chiare possibile”.