L’uomo, la roboetica e l’innovazione
In occasione di EMO Milano 2021, SIRI ha organizzato un’interessante tavola rotonda interdisciplinare per analizzare passato, presente ma soprattutto futuro dell’etica con cui saranno progettati, costruiti e utilizzati i robot nella società.
L’uomo è ancora al centro dell’innovazione? Questa domanda ha racchiuso il convegno dedicato ai temi della roboetica organizzato da SIRI con il patrocinio di Fondazione UCIMU e PubliTec in occasione di EMO Milano 2021. Un convegno in cui la robotica italiana ha voluto mettere al centro non solo temi tradizionalmente di settore, ma anche uno sguardo approfondito agli aspetti solo apparentemente meno concreti, ma probabilmente ancora più decisivi per il proprio sviluppo futuro.
Ecco quindi che Domenico Appendino, presidente di SIRI, ci ha aiutato a ripercorrere la storia della robotica, dai primi utensili a cobot e intelligenza artificiale, cioè gli utensili del terzo millennio. “L’uomo crea e ha creato da sempre i suoi utensili per migliorare il lavoro, ma anche per ridurre i rischi, la fatica e proteggere la propria salute. Per questo gli utensili sono profondamente legati agli aspetti sociali e etici dell’uomo in tutta la sua storia. Se guardiamo la storia della robotica, vediamo come anche nella letteratura si sia affrontato il tema della roboetica, a partire dalle celebri Leggi della robotica di Asimov fino al testo teatrale ‘RUR, Rossum’s Universal Robots’ (recentemente tradotto e pubblicato proprio da SIRI NdR). Oggi, in questo scenario manifatturiero, questi temi sono ancora importanti ed è quindi fondamentale analizzarli”. A aprire i lavori una panoramica quantitativa sulla robotica italiana, di cui il presidente di SIRI ha evidenziato il ruolo fondamentale a livello europeo e mondiale.
Le sfide di oggi e di domani
Alla tavola rotonda, condotta dal direttore di Class-Cnbc Andrea Cabrini, hanno partecipato quattro figure dal background e dalle competenze molto diverse, proprio con lo scopo di animare un dibattito libero, ricco di contaminazioni e, perché no, anche provocazioni.
Ecco quindi Paolo Benanti, docente di Teologia morale e etica delle tecnologie alla Pontificia Università, che ha sottolineato come il futuro non vedrà una sfida tra umano e robot, ma tra umano con robot e umano senza robot. In questo futuro che forse è già presente, Benanti traccia un’altra dicotomia su cui è fondamentale porre la massima attenzione: quella tra algoetica e algocrazia. “L’algoretica – ha spiegato Benanti – nasce in risposta a quella che viene chiamata algocrazia, cioè il ‘dominio degli algoritmi’, una società basata sulla massiccia applicazione degli algoritmi: si rende infatti necessario uno studio dei problemi etici e dei risvolti sociali (ma anche politici, economici e organizzativi) che derivano dall’uso sempre maggiore delle tecnologie informatiche”.
Per Andrea Bertolini, ricercatore e direttore del Centro di eccellenza EURA sulla regolazione della robotica e dell’AI, massima attenzione va posta alla definizione delle normative che regoleranno lo sviluppo e le applicazioni dei sistemi di Intelligenza artificiale. “C’è un interesse regolatore europeo – ha evidenziato Bertolini – ed è il cosiddetto ‘Brussels effect, cioè la possibilità di definire le regole per tutti gli attori (anche altri paesi NdR) se si è i primi a formularle. Questa è una partita importantissima e va considerata come una risorsa: molti dei problemi e dei temi che sono posti ora dal diritto e dalle norme sono strumenti utili a fare innovazione. Questa attività di regolazione avrà un’importanza fondamentale per lo sviluppo della robotica europea”. Ha guardato all’Europa nel suo intervento anche Marco Bentivogli, coordinatore e co-fondatore di BASE ITALIA, che ha sottolineato l’importanza dell’infrastruttura europea di cloud e di dati Gaia X, un progetto che va rafforzato senza indugi vista la sua rilevanza strategica per il futuro dell’industria europea. “In Italia – ha ricordato in modo provocatorio Bentivogli – però purtroppo si guarda ai temi dell’innovazione soltanto in due modi: o identificandoli come la causa di tutti i mali oppure minimizzandone la rilevanza, fingendo che non siano importanti. Questo è un grande problema culturale per il nostro Paese. Serve un nuovo racconto di questi discendenti dei robot industriali e di questa nuova seconda età delle macchine che stiamo vivendo. Dobbiamo raccontare come queste macchine coesistano con i lavoratori, garantendo la sicurezza e la qualità del lavoro”.
Importante anche il contributo ai lavori di Antonio Sgorbissa, docente Dibris – Università degli Studi di Genova, che ha introdotto il concetto di robot sociali, cioè di quei robot il cui scopo è accogliere e assistere le persone. “L’obiettivo – ha spiegato Sgorbissa – è creare robot che abbiano anche competenze culturali, capaci cioè di adattare il proprio modo di agire a seconda della persona che hanno di fronte. La robotica sociale ha elementi che però possiamo trasferire anche ad altri contesti: determinare la giusta fiducia dell’operatore verso la macchina con cui collabora, rendere gli algoritmi capaci di spiegare le loro scelte e le loro metodologie di lavoro e sviluppare macchine autonome in grado di riconoscere le diverse culture delle persone e agire di conseguenza”.
“Importante sottolineare – conclude Appendino – che la robotica industriale è ancora molto distante da molte di queste esperienze che, invece, riguardano bot, cioè intelligenze artificiali che lavorano su calcolatori. È chiaro però che la velocità di sviluppo è tale che a questi temi potremmo arrivarci domani, senza quasi rendercene conto. Intanto vediamo cambiare l’idea di azienda e di società, con l’operaio che diventa operatore di macchina ed è sempre più simile ad un impiegato. Concludo però ricordando che il coltello da cucina a una madre serve per alimentare il figlio, mentre a un assassino per uccidere. La differenza è sempre come viene usato un utensile: lo stesso avviene per i robot che, ricordiamolo, non sono amici o compagni di lavoro, ma utensili utilizzati da chi li gestisce e, ancora per molto tempo, non in grado di autodeterminarsi”.