Diamo voce alla robotica italiana
La centralità della robotica nell’evoluzione del comparto della lavorazione lamiera è evidente a tutti. Proprio nell’ottica di poter raccontare un settore così importante come quello dei robot, Deformazione ha scelto di diventare organo ufficiale di SIRI e iniziare un’importante collaborazione con l’associazione. Abbiamo incontrato Domenico Appendino, Presidente di SIRI per analizzare presente, passato ma soprattutto futuro del mondo della robotica italiana.
Nel 1993 esce il primo numero di Deformazione e SIRI era già un’associazione in piena attività. Negli anni Novanta che fase stava attraversando la robotica italiana? Cosa è cambiato oggi rispetto a quel periodo?
Quando è uscito il primo numero di Deformazione, SIRI aveva appena compiuto 18 anni di vita ed era già da molto tempo un’associazione molto attiva. Nata infatti nel 1975 e seconda solo alla giapponese JARA costituita solo due anni prima, anticipava di ben 12 anni la fondazione di IFR, International Federation of Robotics, mostrando fortemente l’importanza dell’innovazione italiana in questo settore fin dalla sua nascita. Ricordo che il primo dei tre tipi di robot inventati in Italia, il robot di misura, è stato concepito e commercializzato da Franco Sartorio in DEA nel 1965, solo quattro anni dopo la presentazione negli Stati Uniti d’America di Unimate, il primo robot industriale al mondo di Joseph Engelberger e Jeorge Devol. Coevo di SIRI è invece il primo robot di assemblaggio in OLIVETTI e leggermente successivo (1978) quello laser in PRIMA PROGETTI (poi PRIMA INDUSTRIE) ancora di Franco Sartorio. Dalle origini fino agli inizi degli anni Novanta sono nate in Italia molte aziende produttrici di robot industriali che si sono aggiunte a DEA, OLIVETTI e PRIMA INDUSTRIE. Ad esempio, e in modo certamente non esaustivo, ricordo SAPRI, CAMEL, Bisiach&Carru, Gaiotto e JOBS che presentò uno dei primi robot a sei gradi di libertà. Grazie a questo sviluppo e all’attenzione di aziende ed enti di ricerca all’attività culturale associativa, negli anni Novanta SIRI era un punto di riferimento consolidato per la cultura robotica italiana con un’attività convegnistica che spaziava su tutti i temi della robotica di quel periodo. Allora era presidente Daniele Fabrizi, premio Engelberg 1988, che era stato anche presidente di IFR. Il corso di robotica che SIRI aveva iniziato nel 1978 alla fiera di Milano negli anni Novanta veniva ristrutturato da Fabrizi che, organizzando all’Università di Pavia ogni anno un corso specifico incentrato sulle novità tecniche della robotica per accompagnarne lo sviluppo e la diffusione, costituiva la struttura del Corso Nazionale di Automazione Industriale e Robotica che SIRI ha poi sempre continuato, rinnovando sedi e contenuti fino a oggi. Nel contempo la robotica entrava sempre di più come materia nei corsi universitari. In Europa, la robotica italiana era già seconda solo a quella tedesca: per questo tutti i grandi produttori mondiali aprirono filiali nel nostro Paese (ASEA poi ABB, KUKA, FANUC e altri) che poi si contraddistinsero per la spiccata capacità applicativa. Iniziarono a scomparire molte piccole aziende che avevano sviluppato i loro modelli, ma non erano riuscite a crescere abbastanza per poter competere con i grandi produttori mondiali, però nel contempo si vide una crescita sempre più importante degli integratori. Sopravvissero solo poche aziende selezionate per tecnologia o dimensione, come ad esempio COMAU, PRIMA INDUSTRIE e SAPRI, quest’ultima poi acquisita da ABB, ma il mercato e di conseguenza la popolazione dei robot continuavano a crescere fortemente. Per quanto riguarda i principali costruttori, COMAU esportò numerose linee di assemblaggio carrozzeria in tutto il mondo dell’auto e PRIMA INDUSTRIE diventò leader mondiale nella robotica laser. Oggi, in un mondo sempre più globalizzato, questo processo si è consolidato e i nostri integratori sono considerati fra i migliori del mondo da tutti i grandi produttori mondiali, che vedono nelle loro filiali italiane laboratori di innovazione applicativa per i loro robot con soluzioni che trovano mercato anche ben lungi dal nostro paese.
Tra le particolarità di SIRI c’è quella di unire il mondo accademico e quello industriale: quali effetti ha avuto e ha sulle attività dell’associazione questa unicità?
SIRI è stata fondata da Antonio d’Auria che ne è stato il primo presidente e in ordine alfabetico da Luigi Caprioglio, Gianfranco Duina, Mario Salmon, Rinaldo Michelini, Vincenzo Nicolò, Massimiliano Petternella, Franco Sartorio, Marco Somalvico e Mario Unnia, un gruppo di imprenditori e manager illuminati e di professori universitari con particolare attenzione all’impresa. L’associazione nasce quindi con una compagine caratterizzata da competenze trasversali, che vuole unire il mondo industriale e accademico per poter “conoscere e far conoscere” in modo il più possibile completo la robotica e l’automazione. Questo è perfettamente in linea con lo scopo sociale di un’associazione culturale, ben distinto da quello di un’associazione di categoria che ha lo scopo di tutelare uno specifico settore. Avere al suo interno in modo naturale e da sempre tutte le competenze e i punti di vista del settore e quindi poter affrontare ogni tema con una visuale la più aperta, varia e completa possibile è sicuramente un valore che presenta una sua unicità in un paese in cui il mondo industriale e accademico sovente hanno difficoltà a collaborare, problematica che credo sia dovuta soprattutto a mancanza di reciproca conoscenza. Grazie a questa sua caratteristica, a parte casi specificatamente voluti per motivi particolari, le attività culturali di SIRI che si sono sempre espresse oltre ai lavori di statistica del settore in corsi o convegni, non sono mai solo “industriali” o “accademici”, ma presentano i temi trattati in modo ampio, aperto e completo. Ne è un esempio il nostro già citato Corso Nazionale Automazione Industriale e Robotica, dove si alternano lezioni accademiche a presentazioni tecniche di nuove soluzioni o di prodotti industriali e i partecipanti possono effettuare visite di aziende, di laboratori e di centri di ricerca.
Industria 4.0 e la digitalizzazione hanno cambiato radicalmente il manifatturiero negli ultimi dieci anni. Anche la robotica è stata influenzata così fortemente?
È sicuramente vero che l’industria 4.0 e la digitalizzazione sono due tendenze che hanno profondamente cambiato il manifatturiero negli ultimi anni. Tuttavia non sono state l’industria 4.0 e la digitalizzazione che hanno trascinato la robotica, ma è successo l’opposto. Il robot industriale moderno, indipendentemente dalla sua architettura o tipologia, è digitale da molti decenni, più precisamente da quando è comandato da un controllo numerico che può comunicare con altre macchine o con una rete se disponibile per il remoto. Inoltre, è flessibile e programmabile sia in modo locale che da remoto. La presenza di sensori sempre più performanti, che gli permettono di variare il suo programma di lavoro in tempo reale adattandolo alle condizioni in cui opera, è una realtà ormai da parecchi decenni. È quindi evidente come il robot sia una macchina “intrinsecamente 4.0” che oltretutto, se collegata ad altre macchine più semplici che si appoggiano alla sua parte elettronica per la loro gestione, con la sua presenza e funzione può rendere l’intera cella di lavoro una soluzione 4.0. Naturalmente tutti gli aiuti che vari Stati hanno messo a disposizione per l’industria 4.0 e la digitalizzazione hanno molto spinto e aiutato gli investimenti in questo settore, inclusi quelli di robotica, contribuendo sicuramente alla loro crescita, ma il cambiamento del manifatturiero è stato quello di rendersi più simile alla robotica che lo era già per essere anch’esso digitalizzato e conforme ai criteri del 4.0. Si potrebbe dire che l’industria 4.0 è proprio il risultato della “contaminazione della robotica” nell’industria.
Anche grazie a cobot e a robot semplici da programmare sempre più aziende introducono nei loro processi la robotica, imparando a conoscere questa tecnologia. È corretto dire che la robotica è fondamentale per mantenere in Italia attività industriali che altrimenti rischierebbero di non essere più sostenibili?
Con la loro diffusione e crescita, i robot hanno gradualmente diminuito il loro costo ed è aumentata la loro facilità di programmazione e la loro flessibilità. Il costo è diminuito per un logico fattore di scala, mentre lo sviluppo sempre più veloce di nuove tecnologie che ha portato alla possibilità di integrare sensori sempre più avanzati e recentemente anche applicazioni di intelligenza artificiale ha contribuito fortemente alla loro facilità di programmazione. Il robot è nato flessibile, non a caso la sua definizione ISO è di manipolatore riprogrammabile con almeno tre assi di libertà. Per quanto sia nato per le piccole e medie aziende dove è richiesta molta flessibilità, visti i suoi costi iniziali e la sua forte novità, è entrato all’inizio soprattutto nelle grandi aziende dove era più facile fare investimenti elevati sia in costo degli impianti sia in formazione dei dipendenti. Ora sono proprio i cobot, per la loro caratteristica di essere robot semplici da programmare e di avere un costo più ridotto, che hanno consentito finalmente al robot di fare un ingresso più massiccio nella piccola azienda per la quale il robot è stato concepito fin dall’inizio. Un altro motivo molto importante che ha favorito questo processo è il fatto che, grazie alla loro possibilità di lavorare insieme agli operatori umani, possono essere inseriti in un’azienda senza imporre cambiamenti di flusso e logica di produzione. Tutto questo significa una diffusione decisamente più elevata sia reale che potenziale della robotica, con l’affiancamento di quella collaborativa a quella tradizionale. Ne consegue che molti processi industriali discreti, dove l’uso di mano d’opera li rendeva “labour intensive”, grazie all’uso della robotica stanno diventando sempre di più “capital intensive” e quindi non più da delocalizzare in paesi dove il costo del lavoro è basso. Il risultato di questo cambiamento è che con l’utilizzo della robotica diventano tanto sostenibili da rendere addirittura economico il “reshoring”, cioè il rientro di queste attività produttive nel paese d’origine, con tutti i vantaggi che ne derivano non solo per la specifica attività che rientra ma anche per il fatto questo consente di ricostruire e rafforzare la filiera del prodotto nel paese di origine. Il “reshoring” è diventato quindi una pratica di cui abbiamo negli ultimi anni positivi esempi in Italia e negli altri paesi avanzati dell’Occidente.
I report IFR raccontano la vivacità e la forza della robotica italiane. Questi dati sono stati confermati anche dalla fiera RobotHeart e dai continui successi degli integratori italiani in tutto il mondo. Qual è secondo lei il segreto del successo delle aziende italiane della robotica? Esistono degli elementi che possiamo associare in un concetto di “robotica italiana”?
La robotica italiana è cresciuta con continuità dagli albori di questa tecnologia nel mondo fino a ora. Il robot industriale nato nel 1961 negli Stati Uniti d’America ha trovato subito sviluppo in Giappone, Italia e Germania per poi diffondersi più tardi in altri paesi. La forte crescita dell’oriente nell’ultima parte del secolo scorso ha portato alcune “tigri asiatiche”, come Corea o Taiwan, a spingere più in basso nella classifica mondiale un’Italia che prima si trovava subito dopo Giappone, Stati Uniti d’America e Germania. Poi, dall’inizio di questo secolo, la fortissima crescita della Cina ha portato in circa venti anni questo paese a essere il leader mondiale realizzando con continuità record annuali, tanto che si trova ormai da circa dieci anni alla prima posizione per vendite e nel 2021 ha raggiunto un consumo che lo porta a essere il Paese che da solo vende più robot di tutto il resto del mondo. In questa situazione l’Italia si trova ora dopo Cina, Giappone, Corea, Stati Uniti d’America e Germania, in una ragguardevole posizione di sesto paese del mondo per robot sia venduti che installati e, come ho già accennato, non perché la sua cresciuta si sia arrestata, ma perché altri paesi sono cresciuti di più. In Europa l’Italia si trova stabilmente alla seconda posizione dopo la Germania ma negli ultimi anni (2016-2021) censiti da IFR la sua crescita presenta un valore medio del 17% contro solo un 3% della Germania e un 11% del mondo. Sono numeri molto importanti che fotografano uno stato di eccellenza della nostra robotica che non solo ci fanno piacere, ma sono anche fonte di grande orgoglio. Credo che il successo delle aziende italiane risieda nella grande capacità di innovazione in generale e di congegnazione in particolare, tipici della nostra cultura tecnica e industriale. Queste caratteristiche hanno portato inizialmente alcune aziende ad avere un prodotto di livello internazionale, e poi altre a integrare robot e componenti presenti sul mercato in modo molto intelligente e innovativo che le ha rese presenti anche nel mercato internazionale. Queste aziende italiane, gli integratori, non hanno solo la caratteristica di inserire con capacità sistemistica uno o più robot con altri componenti commerciali in un impianto ma soprattutto di progettare e realizzare parti importanti di quello che da quando operavo in SAPRI chiamo “perirobotica”, in quanto si tratta di parti essenziali presenti in un impianto robotizzato che ritengo abbiano assolutamente la dignità di un nome per essere caratterizzate come insieme. Ricordo che questi componenti e accessori non sono da meno del robot come importanza e sovente anche come valore. Infatti, la concezione e realizzazione di organi di presa, posizionatori, sistemi di fissaggio, soluzioni di movimentazione e quant’altro è essenziale non solo per il funzionamento di un impianto robotizzato, ma è determinante per quanto concerne la sua competitività ed è quello che fa veramente la differenza. Queste capacità sono un valore peculiare e molto importante non solo per la robotica italiana ma per tutto il settore della metalmeccanica di cui la robotica è parte e che è uno dei più forti pilastri dell’export del nostro paese. La robotica italiana è quindi caratterizzata si da alcuni produttori di robot ma soprattutto da molti integratori che operano non solo in Italia essendo dei forti esportatori. Questo significa che una gran parte dei robot consumati nel nostro paese restano in Italia solo per il tempo della concezione e realizzazione dell’impianto in cui opereranno, per essere poi rispediti come impianto robotizzato “pieno di tecnologia italiana” in tutto il mondo. Proprio grazie a questo, nonostante le sue ridotte dimensioni rispetto ad altri Paesi, l’Italia ha raggiunto e mantiene la posizione che saldamente occupa nella classifica mondiale stilata da IFR.
Robotica mobile, cobot e robot di servizio… l’era dei robot in gabbia sta per finire? Nelle fabbriche di domani la presenza di robot sarà sempre più pervasiva?
Non credo che l’era dei robot in gabbia stia per finire. La robotica mobile e quella di servizio non sono novità, ma si sono sviluppate insieme ai robot. Il cobot è semplicemente un robot con caratteristiche tali che gli consentono di lavorare in sicurezza vicino a un operatore umano aprendo al robot dotato di queste caratteristiche delle applicazioni prima non pensabili per motivi di sicurezza. Vedremo quindi sempre più cobot che opereranno in modo lento ma sicuro vicino all’uomo, con l’obiettivo di automatizzare processi che nel loro complesso hanno bisogno di un contributo umano, e robot tradizionali in gabbia che continueranno a essere protagonisti di un processo totalmente automatico e segregato in celle o impianti con altissima produttività. Credo che i robot mobili per loro natura avranno uno sviluppo maggiore nella soluzione collaborativa lasciando agli AGV (Automated Guided Vehicle) il compito di trasporto tra isole e impianti robotizzati in gabbia. Anche i robot di servizio continueranno il loro forte sviluppo e probabilmente sarà necessario rivedere a livello normativo la definizione tra robot “di servizio” e “industriali”, in quanto gli attuali confini si stanno sempre più sovrapponendo nelle applicazioni dei due diversi settori. Tuttavia per i cobot, che ora rappresentano ancora solo il 7% del consumo globale dei robot industriali, è prevista per i prossimi anni una crescita con un valore di oltre il 40%, circa 6 volte il 7% previsto da IFR per tutti i robot nei prossimi cinque anni. È quindi corretto pensare che nelle fabbriche di domani la presenza di robot industriali di tutti i tipi sarà sempre più pervasiva, e questo non solo nelle fabbriche perché da IFR sappiamo che anche la robotica di servizio sta crescendo con ritmi tra il 10% e il 40% a seconda del settore, valori decisamente maggiori di quello della robotica industriale nel suo complesso e che questa crescita dovrebbe mantenersi nei prossimi anni.
Deformazione, di cui in questo speciale celebriamo i trent’anni di attività, è con orgoglio organo ufficiale di SIRI da anni. Quale contributo può dare una rivista alle sfide che l’associazione dovrà affrontare in futuro?
L’organo ufficiale di una società culturale è uno dei suoi pilastri. Porta nella compagine di competenze dell’associazione quella specifica della comunicazione che nel mondo di oggi è sempre più importante. Deformazione in questi anni si è evoluta e innovata sperimentando con SIRI nuove forme di comunicazione idonee alle varie situazioni che si sono presentate. Ne porto solo un esempio, la formula di ROBOTIC DAYS, che ha portato vita alla comunicazione del nostro mondo in momenti piuttosto difficili. Inoltre Deformazione, nella figura delle persone che operano nella rivista, sempre ha fornito, e spero anche in futuro sempre porterà, un contributo di comunicazione a SIRI per le sue altre attività quali sito, media, convegni e corsi tramite idee, supporto e scambio di opinioni. Questo sarà estremamente utile e importante per le prossime sfide che nel futuro dovremo affrontare insieme.
In questi anni di presidenza di SIRI quali momenti e traguardi sono stati più importanti e soddisfacenti, anche a livello personale?
Lavorando anche con il cuore, cosa che a mio avviso caratterizza tutti i soci SIRI attivi e che quindi conosco, è impossibile dimenticare alcuni momenti e traguardi dell’associazione che nella mia presidenza sono stati particolarmente soddisfacenti. Il primo è l’apertura dei convegni di SIRI ad attività più trasversali, superando il confine di quelli solo tecnici che prima avevano caratterizzato la nostra attività, e che naturalmente non abbiamo abbandonato ma continuato a organizzare in forma sempre più consona alle esigenze che si presentano con i cambiamenti sociali. Penso a convegni come “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro: … e i robot?” del 12 ottobre 2017, quindi “Robot, salute e benessere: l’impatto dell’automazione industriale 4.0 sul lavoro e nelle fabbriche” del 7 novembre 2018 e, appena possibile dopo la pandemia, “Roboetica: l’uomo è ancora al centro dell’innovazione?” del 7 ottobre 2021 in EMO. Queste attività hanno aperto contatti e dibattito su importantissimi aspetti sociali e umani che coinvolgono pesantemente il nostro settore e che era difficile, ma doveroso iniziare ad affrontare. Ritengo che questi eventi siano stati un grande contributo alla correttezza dell’informazione su questi temi, purtroppo nel passato molto maltrattati dai media che ora hanno preso un atteggiamento meno ideologico e più corretto e veritiero; penso anche grazie al nostro contributo informativo non legato ovviamente solo a questi convegni, ma a una continua e attenta attività di comunicazione ai media di cui è stata protagonista anche Deformazione. Inoltre questi temi hanno ampliato il perimetro di conoscenza di SIRI, ampliandolo a un pubblico non solo di tecnici e rafforzandone l’immagine e la conoscenza. Penso alla prima edizione della fiera RobotHeart dal 12 al 15 ottobre 2022 in 33.BIMU in collaborazione con UCIMU che ha raccolto costruttori, distributori, integratori, enti di ricerca della robotica italiana e che ripeteremo nella prossima 34.BIMU del 2024 sperando che possa crescere sempre di più. Penso al fatto che il nostro Corso Nazione di Automazione e Robotica quest’anno con il tema “La robotica tradizionale e del futuro” raggiungerà la sua 46° edizione. Penso all’attività di statistica relativa alla robotica italiana, che da sempre facciamo con UCIMU, e che dopo anni di attività ha portato IFR nel 2022 a presentare direttamente in Italia le sue statistiche nella persona della sua Presidente il giorno dopo averle presentate al mondo nella sua sede in Germania. Penso alla collaborazione con UCIMU che è ben più ampia di quanto già detto e che sento rafforzata durante la mia presidenza, sottolineando l’evidente complementarità su temi di comune interesse essendo le due società una l’associazione culturale e l’altra di categoria della robotica.
Presidente, le chiedo infine un ricordo personale di Deformazione, una rivista che anche prima che fosse organo SIRI lei conosceva, essendo uno dei protagonisti del settore della lavorazione lamiera.
Ricordo quando nel 2014, trovandomi in una fiera a Bologna, ho casualmente incontrato Fabrizio Garnero che conoscevo da molto tempo e che allora era il mio riferimento per il gruppo PubliTec per motivi non legati a SIRI ma alla mia posizione in PRIMA INDUSTRIE. SIRI viveva un momento particolare, si sentiva fortemente una necessità di rinnovamento perché c’era in consiglio la percezione di stanchezza nel rapporto con l’organo ufficiale d’informazione dell’associazione. Ero allora Vicepresidente di SIRI con incarico delle relazioni esterne e vivevo questo tema in modo diretto e personale. Grazie al mio rapporto con Fabrizio Garnero e alla reciproca stima ne ho parlato apertamente con lui: mi faceva piacere avere qualche consiglio da chi operava direttamente nel settore. Così, al di là delle nostre aspettative, e grazie al fatto che parlando ci siamo resi conto di avere una forte condivisione di idee e di valori, è nata subito, direi quasi istintivamente e in modo assolutamente naturale, l’idea di una collaborazione SIRI-PubliTec che a brevissimo ha portato alla sua formalizzazione. Grazie a questo incontro dal primo maggio 2014, Deformazione è l’Organo Ufficiale di SIRI e ora siamo a un passo dai dieci anni di crescita e proficuo lavoro insieme.