Incentivi di super e iperammortamento
A distanza di un anno e mezzo dall’entrata in vigore dei provvedimenti per la competitività del manifatturiero italiano, Fondazione UCIMU con il supporto di Eumetra ha presentato i risultati della sua ricerca incentrata su “L’utilizzo degli incentivi di super e iperammortamento da parte delle imprese italiane”, all’incontro del 26 giugno scorso.
Sono stati presentati lo scorso 26 giugno i risultati della ricerca, svolta da Fondazione UCIMU con il supporto di Eumetra, incentrata su “L’utilizzo degli incentivi di super e iperammortamento da parte delle imprese italiane”. All’incontro sono intervenuti, accanto a Massimo Carboniero, presidente UCIMU – Sistemi per Produrre, Marco Calabrò, dirigente Ministero Sviluppo Economico, Vito Marraffa, Tax Director Studio Tributario e Societario Deloitte, e Renato Mannheimer, Eumetra. In collegamento telefonico, Dario Galli, viceministro Ministero dello Sviluppo Economico.
A distanza di un anno e mezzo dall’entrata in vigore dei provvedimenti per la competitività del manifatturiero italiano, UCIMU – Sistemi per Produrre ha inteso approfondire conoscenza e diffusione degli strumenti pilastro del piano Industria 4.0 oggi Impresa 4.0.
L’indagine è stata condotta dalla società di sondaggi guidata dal professor Mannheimer, secondo le specifiche definite da Fondazione UCIMU, su un campione rappresentativo di 200 imprese del settore metalmeccanico individuate per dimensione fatturato, area geografica di appartenenza, tipologia di produzione.
Il coinvolgimento delle grandi imprese
Secondo l’indagine effettuata, il 90% degli intervistati, tutte figure di vertice delle imprese, dichiara di essere a conoscenza dei provvedimenti per il rinnovo del parco macchine e la trasformazione digitale della fabbrica; il 46,5% delle imprese afferma inoltre di aver usufruito degli incentivi. In particolare è il settore automotive ad aver acquisito più macchinari e ad aver sostenuto gli investimenti più cospicui. Considerando la dimensione come criterio di classificazione, sono le grandi imprese ad aver fatto la parte del leone. Con riferimento alle macro aree geografiche, è il Nord Ovest, seguito dal Nord Est, ad aver utilizzato maggiormente i provvedimenti di super e iperammortamento. Per valore dell’investimento invece l’area del Sud e Isole è in posizione di leadership: ciò si spiega con il fatto che gli acquisti in nuove tecnologie sono per lo più veri e propri impianti acquisiti dalle grandi imprese che hanno sede nelle regioni che fanno capo a quella macroarea. Rispetto alla tipologia di incentivo, praticamente pari è la distribuzione tra utilizzo di super e iperammortamento. Buona parte di chi ha scelto di fare investimenti in regime di iperammortamento ha abbinato anche un investimento in superammortamento (18%): ciò dimostra che l’investimento in tecnologie digitali (iper) abilita una serie di aggiornamenti ulteriori e trasformazioni della fabbrica, finalità per cui lo stesso provvedimento era stato pensato. Solo il 5% di chi ha fatto investimenti ha acquisito solo tecnologie digitali; il restante 23% ha scelto di acquistare macchine in regime di superammortamento.
Le diverse ragioni degli investimenti
Decisamente variegata è poi la domanda di macchinari classificati per valore dell’investimento. Il 38% indica nella fascia compresa tra 100.000 e 500.000 euro l’investimento effettuato. Il 30% ha invece fatto acquisti per meno di 100.000 euro. Segue il 20% con investimenti compresi tra 500.000 e 2 milioni. Il restante 12% ha comprato tecnologie per oltre 2 milioni di euro.
Rispetto alla motivazione sottesa all’acquisto di nuove tecnologie, quasi la metà (48%) degli intervistati ha dichiarato che l’obiettivo era l’aumento della capacità produttiva, a conferma del favorevole momento economico. Tra le ragioni dell’investimento in nuove tecnologie, molto sentita è l’esigenza di migliorare la competitività della propria offerta. In particolare: il 30% dichiara di volere il miglioramento prodotti, il 20% di contrastare l’obsolescenza tecnologica dei macchinari, il 13% di voler così rispondere alla crescita della competizione globale.
Meno di un terzo (32%) ha invece indicato nella necessità di sostituzione di macchinari non più funzionanti la motivazione dell’investimento. Solo il 2% afferma di essere stato mosso all’acquisto da semplice ragioni di incentivo fiscale.
In ottica di trasformazione digitale
Riguardo alla propensione agli investimenti, più della metà (51%) delle imprese intervistate dichiara di avere intenzione di fare acquisti in futuro. In particolare il 20% ne è certo, il 31% è ragionevolmente sicuro. Si tratta per lo più di aziende grandi e medie e di aziende che operano nel settore della fabbricazione di prodotti in metallo. Il 27% ritiene certo che non farà acquisti nel biennio 2018-2019. Il restante 22% si dice poco propenso a investire.
Nelle intenzioni di acquisto futuro è preminente la scelta di investimenti in chiave digitale (iper). Rispetto alla ripartizione geografica, sarà il Nord Est a investire maggiormente in futuro perché il 50% delle aziende afferma di aver intenzione di fare investimenti con iperammortamento.
Il 75% degli intervistati si dice consapevole della trasformazione che l’organizzazione aziendale subirà a seguito dell’introduzione delle tecnologie digitali. Il 24% si è già attivato, il 51% lo farà a breve. Il restante 25% è avverso o non a conoscenza di ciò. In particolare gli intervistati abbinano alla trasformazione in chiave digitale la necessità di formazione degli addetti (ne è convinto il 58% dei rispondenti) e la riorganizzazione del personale interno, come afferma il 55%. Attualmente l’aumento dell’occupazione non è considerato prioritario; è possibile invece affermare che la diffusione delle tecnologie digitali si abbina al tema del consolidamento dell’occupazione attuale.
Le motivazioni di chi non ha investito
Rispetto al campione intervistato, più della metà delle imprese metalmeccaniche italiane (53,5%) pare non essere stata lambita dall’opportunità di rinnovamento del parco macchine e trasformazione degli stabilimenti in chiave digitale. Con riferimento ai singoli segmenti, a essere escluse da questo processo sono anzitutto le micro imprese (con fatturato fino a 2 milioni di euro) e, in generale, le aziende del Sud e Isole. La quota di imprese del Sud e Isole che ha utilizzato gli incentivi è pari a circa il 40%, ben al di sotto della media totale risultata pari a 46,5%. Le ragioni sottese ai mancati investimenti sono per lo più riconducibili alla non necessità di acquisire nuovi macchinari e all’assenza di una programmazione di nuovi investimenti.
Riguardo alla propensione futura, il 38% di quanti non hanno investito in passato non ha intenzione di investire in futuro.
Il forte rischio del “digital divide”
Dall’indagine emergono sostanzialmente due indicazioni: innanzitutto, che esiste una sacca decisamente ampia, la metà della popolazione di aziende, che non è stata lambita dalla “quarta rivoluzione industriale”; ovvero le imprese che, nel 2017, non hanno fatto alcun tipo di investimento in nuove tecnologie di produzione, siano esse acquistate/ordinate in regime di super o di iperammortamento. La seconda considerazione, è che le imprese che hanno fatto (o faranno) investimenti in questo biennio hanno preferito acquisire macchine dotate di tecnologie digitali. Buona parte delle imprese che ha fatto investimenti in nuove tecnologie prevede di fare nuovi investimenti anche in futuro. Di contro, la ricerca ci dice che buona parte di chi non ha investito in passato non intende farlo in futuro. È evidente che la combinazione di questi due approcci di segno opposto produrrà effetti potenzialmente molto pericolosi spingendo verso una ancora maggiore polarizzazione del sistema manifatturiero diviso tra imprese innovative, che miglioreranno ulteriormente le proprie performance e imprese lumaca che, ferme al palo, arrancheranno ancora di più. In sostanza, il rischio è quello di un allargamento del “digital divide”: pochi campioni sempre più forti e molte aziende, ferme sulle posizioni del passato, destinate a uscire dal mercato, con conseguente perdita di occupazione.
Ruoli e sfide nel panorama che cambia
“Le organizzazioni come UCIMU – Sistemi per Produrre” ha affermato nel suo intervento il presidente Massimo Carboniero, “devono continuare a lavorare per informare e formare le imprese, perché la disponibilità dell’imprenditore a investire in nuove tecnologie e, di conseguenza, in formazione del personale, dipende anzitutto dalla consapevolezza dell’esigenza di innovare: purtroppo molto spesso, le imprese non sanno di dover innovare”.
“D’altra parte, alle autorità del nuovo governo” ha continuato Carboniero, “chiediamo di considerare proprio questi dati che propongono una situazione dell’Italia manifatturiera ancora divisa a metà, affinché considerino di prolungare l’effettività delle misure di super e iper ammortamento, eventualmente rivedendo i coefficienti, perché c’è ancora molto da fare”.
“Nel lungo periodo poi, il superammortamento dovrebbe divenire strutturale per accompagnare le imprese italiane – di tutte le dimensione, ma prevalentemente le micro, che sono quelle meno strutturate in termini di 4.0 – in un processo di aggiornamento costante e cadenzato nel tempo. Se ciò non fosse possibile, chiediamo che sia almeno introdotto il sistema degli ammortamenti liberi, poiché i coefficienti, sono fermi al 1988”.
Il ruolo chiave dell’alta formazione tecnica
“Infine, in tema di formazione” ha concluso il presidente di UCIMU – Sistemi per Produrre, “dobbiamo favorire l’aggiornamento del personale impiegato attualmente nelle imprese italiane. Senza l’aggiornamento necessario, le maestranze non saranno più adeguate alle esigenze delle imprese del futuro. Noi dobbiamo salvaguardare il livello di produzione e dei servizi offerti dalle imprese e l’occupazione di chi sta negli stabilimenti produttivi”.
“A questo proposito, chiediamo che il provvedimento così come definito nel programma Impresa 4.0 sia perfezionato. A nostro avviso, il credito di imposta al 40%, attualmente applicato al solo costo del lavoro del personale coinvolto nella formazione, dovrebbe essere esteso anche al costo dei corsi e dei formatori impiegati, che è poi la spesa più gravosa per le PMI”.
“Parallelamente deve continuare il lavoro sugli ITS, istituti di alta formazione tecnica post diploma la cui distribuzione sul territorio deve divenire sempre più capillare. I metodi e i contenuti trattati da questi istituti garantiscono una preparazione adatta alle attuali esigenze delle aziende. Per questo ne va incoraggiata la nascita, a tutto beneficio di imprese e giovani risorse che, al termine degli studi, hanno in tasca un vero lasciapassare per il mercato del lavoro”.