Come valutare la convenienza economica della formazione
A volte le imprese tendono a considerare la formazione dei propri dipendenti come un costo e non un investimento. Un aiuto per comprendere se le politiche formative intraprese sono coerenti con le aspettative aziendali può arrivare dal calcolo del ROI che, tuttavia, non è semplice quando si tratta di formazione. Ecco alcuni consigli in merito.
di Davide della Bella
I dati Eurostat certificano una significativa crescita degli investimenti in formazione continua da parte delle imprese italiane. Nonostante ciò il nostro Paese è ancora in ritardo rispetto alla media europea: solo l’8,5% dei lavoratori ha partecipato a corsi di formazione, a fronte di una media UE del 10,8% e di paesi come la Svezia e la Danimarca che si avvicinano al 30%.
Le ragioni di queste differenze sono da ricercare in due distinti ordini di motivi: il primo è riconducibile al fatto che molta della formazione realizzata in Italia non è tracciata mentre in altri paesi – per ragioni essenzialmente fiscali – si tende a valorizzare tutte le esperienze formative realizzate. Si pensi, ad esempio, all’induction training (formazione in ingresso) che in Italia è portata avanti in maniera del tutto simile che nel resto d’Europa: il neo-inserito passa un periodo di tempo in affiancamento a colleghi più esperti, fa delle brevi esperienze in altri reparti, apprende le policy aziendali e le regole organizzative non scritte. Nei paesi dove la formazione beneficia di un credito d’imposta, il tempo che la persona appena assunta destina alla formazione è quantificata (in taluni casi anche sovra-dimensionandola) e valorizzata. In Italia invece, con l’unica eccezione delle aziende più strutturate, questo tipo di formazione è come invisibile, mai quindi ricompresa nei dati ufficiali.
Calcolare attentamente il ritorno dell’investimento è fondamentale
C’è poi un secondo motivo, meno tecnico e più culturale, che consiste nell’abitudine a considerare la formazione un costo e non un investimento. Solo in pochi casi questo approccio deriva dalla convinzione che le competenze delle risorse non abbiano alcuna influenza sul successo dell’impresa: più spesso è invece il frutto di una oggettiva difficoltà nel calcolo del ritorno economico di cui beneficia l’azienda dopo aver sostenuto dei costi di formazione.
Le imprese italiane, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, sono solite calcolare il ROI (Return on Investment) in maniera abbastanza semplice e lineare. Tanto più il rapporto tra l’incremento della produttività in un dato lasso di tempo derivante dall’acquisto di un bene/servizio e il costo sostenuto per tale bene/servizio è positivo tanto più l’investimento fatto è vantaggioso per l’azienda. Nelle aziende manifatturiere, la capacità di misurare queste variabili (pezzi, tempo, denaro) è millimetrica ed esistono quasi sempre delle valutazioni ponderate prima di procedere all’investimento.
Quando gli investimenti riguardano la formazione vi sono però problemi non solo di rilevazione, ma anche di scelta delle variabili corrette, della metrica e del payback period: i vantaggi derivanti da un semplice corso di formazione sulla gestione dei gruppi di lavoro va misurato tenendo conto dell’aumento della produzione? O magari della riduzione del turnover aziendale? E perché non della diminuzione del tasso medio di assenteismo? I costi devono ricomprendere anche il costo del lavoro dei partecipanti coinvolti? Il mancato reddito di produzione va incluso nel computo? I costi interni di progettazione e coordinamento che comunque l’azienda dovrebbe sostenere anche se il corso non viene realizzato devono essere contabilizzati? E dopo quanto tempo va effettuata la rilevazione? Mentre l’obsolescenza di un macchinario determina la sua efficienza produttiva, i vantaggi della formazione sono perenni o anch’essi svaniscono in un dato periodo? Se poi la formazione è finanziata, i problemi sono ancora maggiori aggiungendosi delle variabili, come il fattore rischio dell’utilizzo di fondi pubblici e i costi nascosti di possibili ispezioni e verifiche che le aziende spesso non sanno come valutare.
Partire da un calcolo semplice per poi affinarlo
La complessità dell’analisi non deve però indurre le imprese a considerare la formazione come un mero costo da sopportare: il consiglio è quello di iniziare da un metodo di calcolo semplificato anche se imperfetto per poi affinarlo con l’esperienza. Si potrebbe, ad esempio, partire dalla motivazione del percorso didattico per scegliere le variabili: se l’obiettivo di una determinata sessione formativa è quello di migliorare l’efficienza aziendale, privilegerò una dimensione economica di facile lettura (EBIT o altro), se lo scopo è invece quello di supportare un cambiamento organizzativo converrà utilizzare una variabile indiretta, come ad esempio il tasso di turnover, l’assenteismo o, al limite, anche l’auto-percezione dei dipendenti sul valore della formazione realizzata.
Metodologicamente vale analogo discorso anche per la metrica: partire dai costi più evidenti quali quelli dei fornitori esterni (docenza, progettazione, coordinamento) e quelli relativi al costo del lavoro dei dipendenti impegnati nell’attività formativa per poi rettificarli e integrarli sulla base delle esperienze realizzate. Quanto infine alla determinazione del payback period conviene farsi guidare dalla tipologia di variabili scelte e quindi optare per una rilevazione annuale nel caso l’obiettivo formativo sia l’incremento dell’efficienza aziendale e per una rilevazione biennale se il percorso di formazione costituisce una risposta ad una necessità organizzativa. L’aggregazione di questi dati per tutte le attività formative realizzate dall’impresa non permetterà di calcolare puntualmente il ROI degli investimenti, ma potrà sicuramente aiutare i decisori a comprendere se le politiche formative intraprese sono coerenti con le aspettative aziendali. L’analisi del singolo percorso consentirà invece al responsabile della formazione la valutazione dell’efficacia dei fornitori e la replicabilità dell’iniziativa. Occorre quindi iniziare a misurare, anche approssimativamente, perché you get only what you measure!