Il vero problema? Individuare il problema
A cura di Domenico Di Monte, vicepresidente FEDERTEC
Potrebbe sembrare un paradosso ma non è così. Voglio utilizzare questo spazio per stimolare una riflessione riguardante aspetti direttamente correlati alle azioni da implementare per favorire il miglioramento continuo in azienda, ma non solo. Purtroppo spesso mi rendo conto che in contesti applicativi complessi la strategia elaborata per “risolvere” un problema o per raggiungere un obiettivo parte da un errore di base che riguarda l’errata individuazione e definizione del problema o dell’obiettivo stesso. Si parla sempre di “problem solving”, ai nuovi assunti viene richiesta “grande capacità di problem solving” ma sono sempre più convinto che l’abilità più rara e utile sia legata a un processo a monte della risoluzione del problema: l’esatta individuazione del problema stesso, il “problem finding”.
La difficoltà di questa fase è spesso legata al possesso di informazioni incomplete e al tempo a disposizione sempre più limitato, che implicano l’impossibilità di valutare tutte le variabili e indubbiamente all’attenzione “selettiva” che caratterizza normalmente il nostro approccio analitico.
Ci sono diversi racconti, più o meno verificati, di aneddoti che riguardano la ricerca di soluzioni brillanti a problemi sbagliati. Si dice che, a ridosso dei primi viaggi nello spazio, gli ingegneri delle più rinomate agenzie spaziali ricercassero il modo migliore per utilizzare le biro per scrivere anche nello spazio (l’assenza di gravità rendeva difficoltosa la fuoriuscita dell’inchiostro, di fatto escludendo il peso e limitando il flusso unicamente alla capillarità). Mentre si cercava la miglior soluzione meccanica, il classico “inserviente inesperto” chiese come mai non venissero utilizzate le matite al posto delle biro: gli ingegneri stavano risolvendo il problema sbagliato visto che la necessità non era “far scorrere l’inchiostro in assenza di gravità” ma “scrivere”. Non so quanto ci sia di vero in questo aneddoto, ma mi concentrerei sul concetto che in molti casi la foga rivolta alla ricerca rapida di soluzioni ci allontana dal focus sul problema.
Prendiamo come esempio un tema di attualità. Stiamo studiando il miglior modo per calcolare ed elargire il reddito di cittadinanza (misura a “capacità finita” e dunque necessariamente destinata ad “esaurimento” a prescindere dall’ammontare) invece di creare i presupposti perché tutti possano accedere al mondo del lavoro “realizzando” e costruendo di fatto il proprio reddito (questa considerazione vale ovviamente solo per gli abili al lavoro).
Lo stesso concetto vale, ad esempio, per misure di sostegno all’industria identificate in incentivi alla spesa dei consumatori finali (per esempio per l’acquisto di auto o altri beni). Anche in questo caso invece di un beneficio “strutturale” parliamo di benefici “immediati”. Infatti, il problema che risolvono è “creare fatturato” con una distorsione del mercato nel breve periodo, mentre la vera risoluzione dovrebbe consistere nel realizzare misure che permettano all’industria di settore di svilupparsi in modo strutturato e soprattutto continuo. (Un esempio di misura in questa direzione è la defiscalizzazione degli investimenti sui macchinari di produzione, perché coniuga il beneficio immediato con quello del rinnovo tecnologico e dal conseguente aumento dell’efficienza produttiva e conseguente riduzione dei costi).
Questo paradigma può essere applicato in ambito aziendale. Basti pensare all’ottimizzazione dei processi volta alla riduzione dei lead time: spesso ci si focalizza sull’aumento delle performance produttive senza individuare correttamente il vero “collo di bottiglia” magari rappresentato da aspetti più legati alla logistica, alle infrastrutture o altro. Un esempio: perchè preoccuparsi di progettare il motore più potente possibile per la propria vettura per poi accorgersi che non può raggiungere nemmeno un terzo della velocità poiché una ruota è buca?
Ci sono molte metodologie che aiutano a strutturare un corretto approccio al “problem finding” e al successivo “problem solving”, dall’applicazione della teoria dei vincoli, alla metodologia TRIZ, dal metodo S.M.A.R.T a quello denominato APS e molti altri caratterizzati dagli acronimi più fantasiosi. La cosa fondamentale è prendere coscienza dell’importanza di questa fase e affrontarla con la dovuta attenzione; la mia personale percezione è che il mondo industriale in questo periodo post pandemico sia chiamato ad intraprendere azioni concrete per ripartire nel modo più efficace possibile, risolvendo temi e problemi aperti da tempo, a patto che si riesca davvero a identificarli, i problemi, correttamente.