Rivitalizzare il macrosettore della trasmissione di potenza
Alla luce del nuovo contesto che vedrà riuniti i settori della trasmissione della potenza meccanica e del fluid power, Assunta Galbiati, la nuova Presidente di ASSIOT, parla a tutto campo degli strumenti da mettere in campo per esaltare le specificità di un macro settore che rappresenta un’eccellenza dell’industria italiana.
di Silvia Crespi
Lo scorso giugno è stata eletta presidente di ASSIOT. Presentando la nuova squadra, ha parlato sia di continuità con le direttive della passata presidenza, sia di nuove linee programmatiche…
Il progetto di fusione con ASSOFLUID, pensato per creare il “contenitore” per la nuova rappresentanza di settore, muterà il contesto in cui operiamo. Il primo obiettivo sarà dare continuità a quanto fatto finora declinando l’attività di ASSIOT nel nuovo scenario, che non è ancora stato definito. Tuttavia, abbiamo le idee chiare su come procedere: vogliamo dare continuità alla proposta associativa che ha caratterizzato la storia di ASSIOT e ASSOFLUID, e questo varrà anche per tutti gli altri attori che vorranno aderire in futuro – senza snaturarli, anzi, dove possibile, enfatizzandone le specificità. Il nostro sforzo sarà quindi volto a incrementare il numero e la qualità delle iniziative e dei progetti in grado di esaltare le specificità del macro settore, non meno di quanto sarà orientato a cogliere tutte le opportunità per creare sinergie e generare valore aggiunto dal confronto tra le diverse anime tecnologiche che lo compongono.
Il comparto delle trasmissioni meccaniche sta vivendo un momento felice. L’ottimo andamento è stato trainato dalla politica governativa, in particolare dal piano Calenda. Come vede il prossimo futuro per le aziende del comparto?
Non c’è dubbio che le politiche messe in atto dal piano Calenda abbiano dato un contributo importante ai successi registrati nell’ultimo periodo e che questo contributo abbia avuto un impatto rilevante soprattutto per chi orienta la propria offerta ai costruttori di beni strumentali italiani. Tuttavia, per quanto importante, il contributo non basta a spiegare, da solo, il successo che il settore ha fatto registrare nel 2017 e le buone aspettative per il primo semestre di quest’anno.
Nel 2017, infatti, il settore è cresciuto di 11,3 punti percentuali sul 2016, grazie soprattutto alla capacità dei produttori italiani di cogliere appieno la dinamicità dei mercati internazionali, dove le vendite sono cresciute nel complesso del 11,8%, oltre un punto percentuale in più rispetto alle consegne sul mercato nazionale che si sono attestate su un più “contenuto” +10.6%. Inoltre, secondo l’indagine della Commissione Economica ASSIOT, la stessa dinamica si sta riproponendo nell’anno in corso, con le esportazioni che nel primo semestre si attestano su valori superiori di oltre un punto percentuale rispetto alle consegne sul mercato interno. Da quest’ultima considerazione deriva dunque anche la fiducia per i prossimi mesi.
Oggi è complesso fare previsioni anche solo di medio periodo; pertanto, dopo la batosta del 2009, ci limitiamo tutti a “navigare a vista”… ma non potremo continuare così a lungo. Molti imprenditori hanno già dovuto prendere decisioni. Il settore in Italia si è attestato su livelli record da un paio d’anni e le aziende hanno esaurito tutte le fonti di capacità produttiva residua e sono di fronte alla necessità di investire. Se, grazie agli incentivi del piano Calenda alcuni hanno già fatto passi importanti, molti sono in attesa di capire meglio la reale dimensione del nuovo posizionamento di mercato dell’industria italiana del settore.
Come si sta evolvendo il ruolo delle associazioni di categoria? Quanto giudica importante il networking in un’ottica di filiera allargata?
In realtà non è il ruolo delle associazioni che cambia ma, purtroppo o forse per fortuna, è il contesto in cui anche le associazioni si trovano a operare che cambia continuamente e, qualche volta, come sta succedendo proprio in questi anni, anche radicalmente. Il ruolo di supporto è rimasto sostanzialmente lo stesso; sono cambiate le modalità in cui le azioni vengono portate avanti.
Faccio un esempio banale, ma significativo: nel 1971, quando nasceva ASSIOT, il problema principale delle aziende associate era reperire le informazioni. Oggi è semplicissimo, grazie ai PC e agli smartphone. Ma il problema vero è quello di “filtrare” le informazioni, distinguendo quelle interessanti da quelle irrilevanti o quelle attendibili dalle cosiddette fakenews… Il compito delle associazioni, quindi, dev’essere continuamente declinato in modo nuovo in base alle mutate esigenze del settore.
Forse il networking è proprio l’unica eccezione a questa regola. Le relazioni tra persone che svolgono la stessa attività, con gli stessi problemi e le stesse passioni sono e saranno sempre fondamentali. C’è chi dice che intorno a una tavola si sono poste le basi per la salvezza del genere umano… sia l’esperienza comune, sia il giusto contesto conviviale possono contribuire più di tanti discorsi e teorie a risolvere anche le problematiche più complesse.
Per questo credo che il networking sia fondamentale in ASSIOT e, lo sarà ancora di più quando potremo conoscerci e confrontarci anche con i colleghi esponenti dell’intera filiera e di tutte le tecnologie del settore.
Il Gruppo Galbiati è un esempio di “eccellenza” nel panorama della meccanica italiana. Quanto è importante la specializzazione per mantenere la competitività delle aziende italiane?
La specializzazione non è solo una peculiarità del nostro Gruppo, ma il vero e proprio marchio di fabbrica del Made in Italy. La caratteristica principale di noi italiani è voler sempre (e spesso anche sapere) entrare nel merito. Desideriamo sempre capire, comprendere perché è bene fare qualcosa e perché è meglio non farla.
L’applicazionie di questa caratterista intrinseca in modo serio e utile, diventa un’innata capacità di immedesimarsi con le esigenze del cliente e sviluppare soluzioni industrializzate che si impongono come eccellenza assoluta nel mondo.
Ecco perché è così importante la specializzazione per il Made in Italy. Non basta, però, tenerlo presente, bisogna saperlo valorizzare e da questo punto di vista abbiamo tanto da imparare… soprattutto dai nostri colleghi tedeschi. Fatta salva qualche eccezione, in pochi si preoccupano di promuovere la nostra capacità di proporre soluzioni su misura in base alle esigenze del cliente. E pensare che siamo nell’era della customizzazione di massa e che, con il 4.0, sarà proprio la domanda a “tirare” tutta l’industria. Sono convinta che se crederemo nelle nostre qualità e sapremo valorizzarle potrà essere una grandissima opportunità per l’industria italiana… anche perché non dobbiamo dimenticare che nel termine “apprezzare” c’è la radice della parola “prezzo” e che, se siamo noi i primi a non crederci, perché mai i clienti dovrebbero pagarci le nostre qualità?
Alla fase degli investimenti deve seguire la fase della formazione; l’Italia è un territorio di eccellenza ed è un dovere muoversi come primi della classe. Sviluppare know-how adeguato è fondamentale per tutti, per il paese si tratta di una grande sfida epocale. È in gioco la nostra permanenza ai vertici della manifattura mondiale. Spero che il nostro governo confermi il piano 4.0 che ha contribuito in parte al rilancio dell’economia.
Nello scenario dell’Industria 4.0, la formazione è essenziale e in Italia abbiamo il problema di reperire le figure professionali con le necessarie competenze…
Riqualificare e aggiornare le competenze per mantenersi competitivi è una priorità per il nostro paese. Dobbiamo agire subito per individuare le competenze da sviluppare, in modo da avere lavoratori preparati per il futuro.
Anche se le singole aziende possono fare molto, la loro possibilità d’intervento è sostanzialmente limitata ai propri collaboratori o ai dipendenti dei loro partner più stretti. La competitività di un’azienda italiana, che tipicamente si inserisce in una filiera lunga e articolata, dipende però anche dalla capacità di sapersi adattare ai fornitori, ai clienti, ai fornitori dei propri fornitori, in sintesi dalla competitività dell’intero settore e dell’intera filiera. Dovremo trovare una risposta “di sistema” e qui il ruolo dell’associazione può essere davvero importante per diffondere la giusta cultura all’intero settore e per offrire una formazione adeguata anche a chi non è in grado di darsi risposte efficaci. Le aziende che hanno già lavorato a questi aspetti, non devono però temere di perdere vantaggi competitivi ma, anzi, dovrebbero condividere, modalità e soluzioni.
In altre parole, dobbiamo superare gli individualismi per convergere su soluzioni che rispondano a problemi comuni e che possano portare a costruire un futuro condiviso. Mi piacerebbe creare un progetto di formazione condiviso tra gli associati in modo che gli studenti possano essere formati, a rotazione, nelle nostre aziende, includendo non solo quelle più strutturate, ma qualsiasi azienda che possa fornire competenze in un dato campo. Le aziende hanno veramente necessità di reperire personale qualificato, sia laureati, sia tecnici diplomati. La scuola va però “sensibilizzata” e dobbiamo assumerci il compito, recandoci in prima persona presso gli istituti, di spiegare quali sono le reali necessità delle nostre aziende. Va detto, però, che nella maggior parte dei casi, gli istituti tecnici italiani non posseggono tecnologia allo stato dell’arte e gli studenti faticano a farsi un’idea di cosa significhi oggi lavorare in un’officina moderna, dove operano impianti digitalizzati; ecco perché o stage presso l’azienda è fondamentale.
Anche per quanto riguarda il mondo universitario ci auspichiamo una maggiore integrazione. Servirebbero maggiori percorsi formativi, fin dai primi anni del corso di laurea. La Germania è un buon esempio. Galbiati sta avanzando, presso le università, una proposta che prevede un primo incontro con i docenti per valutare il progetto proposto dall’azienda; se la valutazione è positiva, viene creato un gruppo ristretto di studenti che sviluppano ciò che l’azienda ha richiesto. Negli incontri successivi viene spiegato come sta procedendo il progetto, passo dopo passo, fino alla conclusione. È, in sostanza, una modalità “intermedia” che può sostituire o affiancarsi allo stage classico. Da non dimenticare, infine, il rapporto con le istituzioni, importantissimo…