Protezione e comfort: la comodità aumenta la sicurezza

Un indumento confortevole diventa un alleato costante della sicurezza, perché viene indossato volentieri e senza fastidi. Silvia Mertens, ingegnere tessile e Responsabile Product Management del fornitore di servizi tessili Mewa, spiega come l’utilizzo di tessuti comodi e morbidi e di tagli ergonomici vada oggi di pari passo con lo sviluppo di soluzioni specifiche e funzionali.

di Francesca Fiore

Se il documento di valutazione dei rischi di un’azienda evidenzia la presenza di rischi relativi a un ambiente di lavoro specifico, il datore di lavoro deve proteggere i collaboratori in modo adeguato e sono sempre prioritarie le misure di carattere tecnico od organizzativo. Se tuttavia queste non si possono attuare o sono insufficienti, anche gli indumenti protettivi possono contribuire alla sicurezza dei collaboratori come dispositivi di protezione individuale. Una volta che i DPI sono stati scelti e forniti, spesso sorge però una domanda: come di può garantirne un uso quotidiano sostenibile? Un corretto mix tra ergonomia, motivazione e facilità di accesso ai DPI è la ricetta giusta.

L’importanza della giusta motivazione

Di seguito riportiamo un esempio reale che evidenzia l’importanza di avere la giusta motivazione per indossare un DPI, a prescindere da quello che è l’ambito di lavoro di appartenenza. Gli operatori del Comune di Schwechat, vicino a Vienna, indossano indumenti ad alta visibilità come prescritto. Tuttavia, le norme non sono sempre sufficienti a motivare le persone a operare in sicurezza. Karin Baier, sindaco di Schwechat e quindi co-responsabile della sicurezza sul lavoro nei cantieri, ha scoperto che in questo caso il fattore comfort gioca un ruolo fondamentale: “Da quando i nostri operatori hanno a disposizione indumenti protettivi non solo sicuri ma anche comodi, li indossano sempre, anche in officina. Non essendo necessario cambiarsi, non possono dimenticare gli indumenti protettivi”.
Karin Baier non è la sola a rendersene conto, poiché nella prassi lavorativa quotidiana non è sempre così facile far accettare i dispositivi di protezione individuale. Ma perché i collaboratori, nonostante le indicazioni, non indossano sempre gli indumenti protettivi prescritti? Le ragioni sono generalmente molteplici. Giocano un ruolo importante, per esempio, la mancanza di tempo, la scomodità o la mancata consapevolezza della loro necessità. Per esempio, il tempo incalzante, il fatto che siano scomodi o la scarsa percezione di quanto siano necessari: spesso i dispositivi di protezione non sono accettati perché non consentono un’adeguata libertà di movimento.

Ergonomia e funzionalità

Gli indumenti protettivi devono innanzitutto soddisfare i requisiti indicati dal documento di valutazione dei rischi e offrire la protezione necessaria. Perché possano essere ben accettati devono però rispondere anche ai requisiti di comfort e di stile. Silvia Mertens, ingegnere tessile e Responsabile Product Management del fornitore di servizi tessili Mewa, sottolinea quanto si sia evoluto il settore in questo senso, grazie all’utilizzo di tessuti comodi e morbidi e di tagli ergonomici, di pari passo con lo sviluppo di soluzioni specifiche e funzionali: “Per l’abbigliamento protettivo è particolarmente importante scegliere il tessuto più adatto, garantire il massimo comfort possibile, unitamente a una protezione ottimale o a elementi aggiuntivi ritenuti necessari per un determinato ambiente di lavoro”.
Ma quando si può definire davvero ergonomico un indumento da lavoro? Dipende dal settore, dall’azienda e dal tipo di attività. Nel momento in cui si fornisce abbigliamento protettivo a un nuovo cliente, Silvia Mertens ha più volte constatato che è estremamente importante coinvolgere il personale che deve indossare l’indumento. Dal feedback dei clienti ha imparato che più l’abbigliamento protettivo è confortevole, più è probabile che venga indossato volentieri e nel rispetto delle norme. Dopotutto, anche il miglior abbigliamento protettivo è inutile se viene lasciato appeso nell’armadio perché considerato troppo scomodo. O magari la giacca non viene chiusa perché il tessuto è troppo pesante e quindi troppo caldo. Aggiunge Silvia Mertens: “Per ovviare a questa eventualità, offriamo ai collaboratori la possibilità di effettuare dei test di prova facendo indossare gli indumenti direttamente sul loro posto di lavoro, prima che l’azienda scelga definitivamente una determinata collezione. Questo fa sì che l’abbigliamento protettivo venga accettato più facilmente e quindi si ottenga una protezione ottimale”. È molto più probabile che l’abbigliamento venga accettato se i collaboratori vengono coinvolti nella scelta.

Un atteggiamento positivo

È altrettanto importante continuare a sensibilizzare i collaboratori, perché – indipendentemente dall’obbligo o meno di indossare i DPI – raramente è possibile monitorare al 100% l’uso corretto dei DPI nell’attività operativa. Il segreto consiste nell’informare, formare e motivare. Ė importante infatti conoscere i potenziali rischi dell’ambiente di lavoro e le caratteristiche dell’abbigliamento protettivo. I preposti e la direzione possono fornire le linee guida per la cultura della sicurezza in azienda, per esempio indossando le scarpe di sicurezza ogni volta che si recano in fabbrica, anche se per poco tempo. È utile comprendere i fattori psicologici, di ordine sia razionale che emotivo, alla base dell’accettazione dell’abbigliamento protettivo. Rientra nella sfera emotiva sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti dell’uso di indumenti protettivi; se poi gli indumenti hanno anche un look moderno, questo contribuisce a farli indossare più volentieri.

Semplificare i processi invoglia l’utilizzo dei DPI

Last but not least, è anche utile che le procedure siano facili da seguire e che un determinato compito possa essere eseguito nel modo più comodo possibile. Se, per esempio, si ha l’opportunità di riporre gli indumenti utilizzati e sporchi in un contenitore di raccolta, per poi prendere quelli puliti dal proprio armadietto, le norme di sicurezza vengono osservate in modo più efficace di quanto non avverrebbe se il collaboratore dovesse occuparsi in prima persona del lavaggio degli indumenti. “In qualità di fornitore di servizi tessili, noi di Mewa forniamo indumenti protettivi certificati e assicuriamo che le proprietà protettive siano garantite per l’intero periodo di utilizzo grazie al nostro servizio a 360° che include la fornitura, la gestione, la manutenzione e il controllo finale dopo il lavaggio”, conclude Silvia Mertens.
Il modello di business adottato dal fornitore di servizi tessili Mewa ha un impatto diverso rispetto a quello di un produttore che vende abbigliamento protettivo. L’abbigliamento deve rimanere funzionale e mantenere un aspetto curato il più a lungo possibile. Solo così il modello di business del servizio tessile è economicamente vantaggioso. Questo significa che l’abbigliamento deve essere mantenuto in circolazione il più a lungo possibile ed è un bene sia per il fornitore che per il cliente e l’ambiente. Inoltre, il fatto di poter raggruppare i processi di lavaggio e di manutenzione consente di risparmiare risorse: se gli indumenti non vengono lavati dai collaboratori ma da un fornitore di servizi tessili, l’impatto ambientale può essere ridotto fino all’85%.

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